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Edificio con un proprietario ed un usufruttuario: si può parlare di condominio?

Tizio è proprietario di un edificio sito nel Comune Alfa. Lo stabile si compone di quattro unità immobiliari, tutte disabitate eccezion fatta per una in cui lui dimora stabilmente. Tizio, come detto, è l’unico e solo proprietario. Per far rendere quella proprietà, pur non avendo bisogno di venderla, decide di cedere in usufrutto a Caio un’unità immobiliare. A quel punto si domanda: “ con la cessione dell’usufrutto debbo considerare l’edificio di mia proprietà un edificio in condominio?” La domanda è tutt’altro che banale: con l’acquisto dell’usufrutto Caio utilizzerà una serie di parti dell’edificio. Si pensi alle scale, all’androne comune, all’impianto idrico ed elettrico fino alle diramazioni nell’unità immobiliare. Come rispondere a questo interrogativo?   In giurisprudenza è dominante la tesi secondo la quale quando “ la proprietà di edifici composti da più appartamenti si versa in una ipotesi di comunione forzosa, il condominio negli edifici, dove coesiste una proprietà individuale dei singoli condomini, costituita dall’appartamento, ed una comproprietà sui beni comuni. Il condominio è tradizionalmente inteso come ente di gestione e si presenta come diritto e come organizzazione: col primo aspetto si fa riferimento al diritto soggettivo di natura reale (la proprietà comune) concernente le parti dell’edificio di uso comune; col secondo aspetto si indica l’organizzazione del gruppo dei condomini, composta essenzialmente dalle figure dell’assemblea e dell’amministratore: organizzazione finalizzata alla gestione delle cose, degli impianti e dei servizi.   La specifica fisionomia giuridica del condominio negli edifici – la tipicità, che distingue l’istituto dalla comunione di proprietà in generale e dalle altre formazioni sociali di tipo associativo – si fonda sulla relazione che, nel fabbricato, lega i beni propri e comuni, riflettendosi sui diritti, dei quali i beni formano oggetto. Secondo l’interpretazione consolidata, ai fini della attribuzione del diritto di condominio la norma conferisce rilevanza al collegamento tra le parti comuni e le unità immobiliari in proprietà solitaria: collegamento, che può essere materiale o funzionale. Il primo è consistente nella incorporazione tra entità inscindibili, ovvero nella congiunzione stabile tra entità separabili e si concreta nella necessità delle cose, dei servizi e degli impianti per l’esistenza o per l’uso dei piani o delle porzioni di piano. Il legame di tipo funzionale si esaurisce nella destinazione funzionale delle parti comuni all’uso o al servizio delle unità immobiliari. Il regime del condominio negli edifici – inteso come diritto e come organizzazione – si instaura per legge nel fabbricato, nel quale esistono più piani o porzioni di piano, che appartengono in proprietà esclusiva a persone diverse, ai quali dalla relazione di accessorietà è legato un certo numero di cose, impianti e servizi comuni. Il condominio si costituisce (ex lege) non appena, per qualsivoglia fatto traslativo, i piani o le porzioni di piano del fabbricato vengono ad appartenere a soggetti differenti. In definitiva, la figura del condominio presenta connotazioni assolutamente peculiari, in cui il “gruppo dei condomini” si trova forzosamente in comunione, in una struttura anfibologica in cui coesiste l’aspetto statico del diritto reale esclusivo con l’aspetto dinamico della gestione – organizzazione” (Trib. Varese 16 giugno 2011 n. 1273).   Insomma per poter parlare di condominio devono esserci due distinti proprietari. Nel caso di cui abbiamo parlato, il proprietario è unico e c’è un usufruttuario. Ergo: alla fattispecie si applicheranno solamente le norme dettate in materia di usufrutto (art. 1001 e ss. c.c.)

Fonte: Condominioweb.com

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