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Non è possibile procedere alla divisione della soffitta condominiale se si rende scomodo l’uso della cosa a ciascun condomino

Nel caso di soffitta comune, ai sensi dell’art. 1119 c.c. le parti comuni dell’edificio non sono soggette a divisione, a meno che la divisione possa farsi senza rendere più incomodo l’uso della cosa a ciascun condomino.   Nella specie la Corte d’appello ha escluso quest’ultima possibilità con adeguata e congrua motivazione, che è incensurabile in sede di legittimità.    Ha osservato che sarebbe impossibile provvedere a una suddivisione in sei parti, una – maggiore – di 617,94 millesimi e le altre per ciascuno degli appellati, titolari complessivamente dei restanti 382,06 millesimi. Questi ultimi hanno infatti chiesto in via subordinata (cfr. conclusioni atto appello) l’assegnazione in natura a ciascuno di essi della quota corrispondente ai propri millesimi di proprietà e la costituzione di una servitù di accesso all’antenna televisiva, all’abbaino, al tetto dell’ascensore e a tutte le altre parti comuni che si trovano nella soffitta.    Poiché ovviamente non potrebbe essere imposta agli appellanti l’attribuzione congiunta della porzione minore di soffitta, la Corte d’appello si è interrogata sulla possibilità di questa peculiare forma di divisione, che deve salvaguardare l’uso della cosa con pari comodità e lo ha escluso con ineccepibili considerazioni. Ha rilevato che sorgerebbe la necessità di costruire muri divisori e scale e accessi al tetto per i condomini esclusi dal godimento di nuove parti di proprietà esclusiva; ha ritenuto che la costituzione indispensabile di vie di accesso all’antenna televisiva, all’abbaino, al tetto dell’ascensore e alle parti comuni raggiungibili attualmente tramite la soffitta sarebbe enormemente costosa, implicherebbe l’imposizione di servitù e, soprattutto, renderebbe palesemente più incomodo l’uso delle cose comuni. Invano parte ricorrente critica la decisione, perché non avrebbe esaminato l’utilizzo concreto del bene.    La sentenza non è apodittica, ma logica e razionale, giacché è evidente, per comune esperienza, che ogni soffitta non è usata, per i fini di cui si è detto, con assiduità tale da richiedere verifica. Ogni condomino si adopera per la buona esecuzione delle opere anzidette (tetto, antenna, etc.) e si augura che gli agenti atmosferici o artificiali non costringano a manutenzione frequente.    Ciò non toglie che la disponibilità di quei beni sia irrinunciabile e che proprio per questo il legislatore sancisce la essenzialità di alcun parti degli immobili condominiali e in via generale limita fortemente la divisibilità delle parti comuni, tanto che la rubrica dell’art. 1119 suona testualmente: “indivisibilità”. Si aggiunga che intuitivamente l’accesso a tutto il tetto e alle parti indicate dovrebbe essere reso comodo con scale, anditi, percorsi, opere innegabilmente costose.    È quindi apodittica non la sentenza, ma l’affermazione della ricorrente secondo cui la costosità delle opere avrebbe dovuto essere stabilita mediante consulenza tecnica.    Né ha pregio la tesi secondo cui la sola ricorrente avrebbe dovuto aver diritto a una porzione esclusiva, dovendo gli altri condomini, contrariamente a quanto espressamente chiesto, restare vincolati dalla comunione della porzione residua.    La logica che regge la regola di indivisibilità dei beni condominiali è diversa da quella egoistica postulata da parte ricorrente, che non ne coglie la essenza perché ispirata al diverso principio del “favor” verso la divisione.      Ciò vale anche a proposito delle servitù che sarebbero state necessarie per addivenire alla divisione in più parti, considerazione che parte ricorrente sottopone a critica, chiedendo che solo previo approfondimento tecnico si stabilisca che da esse derivi maggiore incomodità.    Alla luce delle premesse giuridiche poste, della situazione descritta in sentenza e della conformazione dei beni (soffitta e appartamenti condominiali distribuiti su più piani), la valutazione del giudice di merito appare invece congrua e razionale, non meritevole della censura astrattamente avanzata da parte ricorrente, che non ha nemmeno saputo far riferimento a un proprio progetto concretamente in grado di dimostrare la erroneità o illogicità del giudizio della Corte d’appello.    Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso principale e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo.    Resta assorbito il ricorso incidentale condizionato, relativo alla divisibilità in sei (o cinque, cfr. controricorso) parti.

Fonte: Condominioweb.com

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