Non è raro sentire affermare che nemmeno una raccomandata è in grado di dimostrare il contenuto della comunicazione. La raccomandata, si dice, prova che il mittente ha inviato una lettera e che il destinatario l’ha ricevuta un determinato giorno.
Si badi: già sulla ricezione è necessario specificare alcuni aspetti. Ricevere non significa, per forza, firmare l’avviso di ricevimento; ricevimento, ai fini legali, può anche voler dire semplice inserimento dell’avviso di giacenza da parte del portalettere nella cassetta del destinatario.
La lettera raccomandata anche in mancanza dell’avviso di ricevimento costituisce prova certa della spedizione.
Ma torniamo alla questione iniziale: davvero chi riceve una raccomandata può dire di non aver ricevuto la lettera che il mittente sostiene di aver inviato ma, ad esempio, un foglio bianco oppure addirittura una busta vuota? Se stessero così le cose, quale sarebbe il rimedio?
Diamo una risposta immediata e poi entriamo nel dettaglio: ad oggi non esiste una voce univoca sull’argomento.
Siccome “chi pensa male fa peccato, ma alle volte c’azzecca“, ogni tanto “salta” fuori una sentenza (ed in materia non sono poche) che si pronuncia sull’argomento della prova del contenuto della raccomandata. Ultima in ordine di tempo, la sentenza della Corte di Cassazione n. 10388 depositata in cancelleria il 13 maggio 2014. Insomma il tema è dibattuto ed affrontato anche nelle aule di giustizia e non sempre con gli stessi risultati.
Che cosa hanno affermato gli ermellini nella sentenza appena citata? La Corte s’è pronunciata su una lettera stragiudiziale di messa in mora, ma la portata del principio è chiaramente estensibile anche ad altre comunicazioni, tipo convocazione dell’assemblea, ecc.
Si legge nella sentenza che “l’atto stragiudiziale di costituzione in mora del debitore, anche al fine dell’interruzione della prescrizione, inviato al debitore con raccomandata a mezzo del servizio postale, si presume giunto a destinazione – sulla base dell’attestazione della spedizione da parte dell’ufficio postale, pur in mancanza dell’avviso di ricevimento – e spetta al destinatario l’onere di dimostrare che il plico non contiene alcuna lettera al suo interno, ovvero contiene una lettera di contenuto diverso da quello indicato dal mittente” (da ultimo Cass. ord. 24.6.2013 n. 15762 in un caso analogo a quello oggetto del presente giudizio; nello stesso senso Cass. ord. 23.6.2011 n. 13877; Cass. ord. 7.4.2009 n.8409; Cass.3.7.2003 n. 10536; Cass. 11.5.2006 n. 10849)” (Cass. 13 maggio 2014 n. 10388). La pronuncia, insomma, non è l’unica in tal senso; in essa si legge altresì che il debitore, pur contestando il contenuto della raccomandata, non aveva, poi, fornito prova che esso fosse differente da quello addotto dall’attore.
Si diceva, però, che non sempre la Cassazione s’è pronunciata in tal senso. Nel 2005 ad esempio, i giudici di legittimità hanno affermato che “la sola ricezione della busta raccomandata da parte del destinatario non costituisce prova del contenuto di essa” (Cass. 12 maggio 2005 n. 10021) e che in ragione di ciò spetta al mittente dimostrare il contenuto poiché il destinatario può limitarsi a dire che ha ricevuto una lettera dal contenuto diverso e perciò l’ha buttata o addirittura un foglio bianco. Si tratta, è bene evidenziarlo, dell’unica sentenza di Cassazione di questo genere.
Certo è che la valutazione della prova spetta sempre al giudice. Così, per fare un esempio, il prezzo della raccomandata farà comprendere che non è potuto trattarsi di busta vuota oppure se si tratta di avviso di convocazione che tutti i condomini hanno ricevuto, risulterà difficile, ad avviso di chi scrive, convincere un giudice che quel solo condomino ha ricevuto una lettera di contenuto differente. Rebus sic stantibus, qual è il modo per avere certezza assoluta dell’invio di un atto? Solamente la notifica a mezzo ufficiale giudiziario anche se, giova ribadirlo, la Cassazione è massimamente – anche se non unanimemente – orientata nel senso espresso dalla sentenza n. 10388.