Quando il conduttore “blocca” l’agevolazione “prima casa”
Apr30

Quando il conduttore “blocca” l’agevolazione “prima casa”

Il mancato rilascio dell’immobile da parte del conduttore non rappresenta una circostanza inevitabile e imprevedibile tale da ostacolare il mutamento di residenza, in tale ipotesi, quindi, l’agevolazione decade. Il caso. Nel 2009 al contribuente era stato notificato un avviso di liquidazione da parte dell’amministrazione finanziaria, a seguito del minore versamento dell’imposta di registro, per non avere trasferito la propria residenza nel Comune ove insiste l’immobile acquistato. Il ricorrente aveva proposto appello sia presso la CTP sia presso la CTR. In entrambi i gradi di giudizio le Commissioni avevano respinto il ricorso del contribuente. Il ricorrente proponeva così ricorso per Cassazione lamentando che: la CTR non avrebbe considerato l’impossibilità dello stesso di trasferire la propria residenza, nonché per la violazione e falsa applicazione delle norme di diritto. Assumeva, infatti, il ricorrente che il termine di 18 mesi di cui all’art. 1 co. 1 nota 2 bis del d.l n. 16/93 andrebbe computato dal momento in cui il contribuente sia immesso nel possesso dell’immobile. Le agevolazioni acquisto “prima casa”. Nel caso di acquisto della “prima casa” sono previste delle agevolazioni: l’imposta di registro, o in alternativa l’Iva, si paga con aliquota ridotta e le imposte ipotecarie e catastali sono dovute in misura fissa. In caso di decadenza dei benefici, le sanzioni consistono: 1) nel recupero delle maggiori imposte non versate; 2) nell’irrogazione di una sanzione pari al 30% sulla differenza delle imposte di registro, ipotecaria e catastale; 3) nell’ imposizione degli interessi di mora previsti ex art. 55, c. 4, del D.P.R. n. 131/86. La decisione. La Suprema Corte, con l’ordinanza n.7764 del 2 aprile 2014, ha rigettato il ricorso, ritenendo che: “ Le censure sono infondate. In tema di agevolazioni tributarie, i benefici fiscali per l’acquisto della prima casa (abitazione non di lusso), previsti dalla nota II bis della Tariffa Parte 1 Articolo 1 allegata al DPR 131/1986, spettano alla sola condizione che, entro il termine di decadenza di diciotto mesi dall’anno, il contribuente stabilisca, nel Comune ove sia ubicato l’immobile, la propria residenza (Sez. 5, Sentenza n. 18491 del 10/08/2010). Il mancato rilascio dell’immobile da parte del conduttore non costituisce circostanza inevitabile ed imprevedibile tale da ostacolare il mutamento di residenza”. Il principio di diritto posto alla base della decisione. La Suprema Corte ha ritenuto, dunque, che per l’acquisto della prima casa le agevolazioni sono previste in favore del contribuente entro il termine di decadenza di 18 mesi dall’atto, stabilisca, nel Comune dove è ubicato l’immobile, la propria residenza. Il mancato rilascio dell’immobile da parte del conduttore non rappresenta per gli Ermellini una circostanza inevitabile e imprevedibile tale da ostacolare il mutamento di residenza, in tale ipotesi, quindi, l’agevolazione...

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Realizzazione illegittima di abbaini costruiti dal vicino. Il Comune non può rimanere inerte
Apr29

Realizzazione illegittima di abbaini costruiti dal vicino. Il Comune non può rimanere inerte

La sentenza in esame (T.A.R. Piemonte, Torino, sez. I, sent. 20 marzo 2014, n. 481) si pronuncia sull’illegittimità del silenzio serbato dal Comune sulle istanze del ricorrente volte a chiedere il blocco dei lavori edilizi illegittimi del vicino. Fatto. I ricorrenti sono proprietari di un immobile ad uso abitazione, confinante con l’immobile di proprietà dei ricorrenti, notavano che nell’immobile confinante i resistenti eseguivano dei lavori relativi al tetto e alla costruzione di un abbaino. Poiché tali lavori venivano ritenuti illegittimi i ricorrenti inviavano un esposto al Comune sollecitando l’adozione degli opportuni provvedimenti inibitori. Alla segnalazione non faceva seguito alcun riscontro formale, ma i proprietari confinanti provvedevano spontaneamente alla demolizione delle opere in corso di costruzione. A distanza di qualche mese dalla demolizione, però, venivano avviati nuovamente i lavori, ma con modalità diverse. I ricorrenti, quindi, chiedevano nuovamente l’intervento dell’Amministrazione comunale la quale, però, rimaneva in silenzio. Tramite il proprio tecnico, inoltre, venivano a conoscenza che per tali lavori di innalzamento del tetto e dalla costruzione dell’abbaino (a distanza non regolamentare) erano state presentate una prima D.I.A, e una seconda D.I.A. in variante. Nonostante ulteriori diffide affinché i lavori venissero bloccati, però, il Comune continuava a rimanere inerte. I ricorrenti, quindi, presentavano ricorso avanti al T.A.R. perché, per quanto qui interessa, ritenevano illegittimo il silenzio comunale, e illegittimi i lavori in quanto posti in essere in violazione delle N.T.A. della zona e “dell’art. 22 D.P.R. 380/2001, in quanto l’intervento non sarebbe stato assentibile con D.I.A. ex art. 22, commi 1 e 2 (che disciplina interventi conformi alle previsioni degli strumenti urbanistici) ma semmai con D.I.A. ex art. 22, comma 3 ” La sopraelevazione. Il T.A.R. adito ha ritenuto che le opere realizzate fossero soggette alla disciplina del combinato disposto dell’art. 22, comma 3, lett. a) e art. 10, comma 1, lett. c) del D.P.R. 380/2001 che regola gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni.(Richiedere il permesso di costruire per la realizzazione di un soppalco nel proprio appartamento) Infatti, era stato accertato che “che a seguito dell’ultimo intervento edilizio risultano modificate le linee di gronda e di colmo originarie, con conseguente innalzamento, seppure modesto, dell’altezza del tetto, fattore quest’ultimo che comporta, di fatto, la violazione delle prescrizioni…”. Pertanto, risultavano illegittimi poiché esso non...

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La proprietà di una parte antistante il condominio. Chi l’accerta?
Apr28

La proprietà di una parte antistante il condominio. Chi l’accerta?

Che cosa può fare il proprietario di un immobile se intende (perché irrimandabile) agire in giudizio per far valere e definitivamente riconoscere il diritto di proprietà su di un bene? La domanda non è di poco conto in quanto il codice civile prevede l’azione negatoria (art. 949 c.c.) tesa a far negare l’esistenza di un altri diritto su determinati beni e l’azione di reintegrazione (art. 1168 c.c.) finalizzata, invece, a rientrare nel possesso di un bene in mani altrui. (Azioni di rivendicazione della proprietà degli immobili) Azioni simili a quelle appena elencate sono l’azione di regolamento dei confini (art. 950 c.c., tesa ad eliminare ogni incertezza in merito ai limiti della proprietà) e l’azione di apposizione dei termini (art. 951 c.c.), attraverso la quale si pongono dei punti fermi all’estensione materiale dell’oggetto del diritto. Per quanto riguarda la servitù, poi, il titolare, a dirlo esplicitamente è l’art. 1079 c.c., può agire in giudizio per farne valere l’esistenza e comunque domandare la cessazione delle eventuali turbative, di fatto e di diritto, in atto. In effetti, a bene vedere, non esiste una norma che affermi direttamente che, al di là delle problematiche fin’ora elencate nel caso d’incertezze, riconosca al proprietario di rivolgersi al giudice solo per ottenere l’attestazione della sua proprietà. Chiaramente anche se tale disposizione non sia chiaramente esplicitata nel codice civile non vuol dire che la stessa non esista. A ricordarlo è stata la Corte di Cassazione con una sentenza, la n. 8608, depositata in cancelleria l’11 aprile 2014. Nel caso risolto dalla pronuncia appena citata alcuni condomini litigavano in relazione alla proprietà di una parte antistante gli edifici che per taluni di essi doveva fungere da zona a verde, mentre tal’altri l’avevano parzialmente attratta nella loro esclusiva disponibilità. L’atto introduttivo dell’articolo iter giudiziario che ha portato alla sentenza in esame, non qualificava esattamente la domanda rivolta la giudice. Che cosa hanno detto esattamente gli ermellini? Si legge in sentenza che “poiché l’azione di accertamento della proprietà si modella sullo schema logico della negatoria ex art. 949 c.c., anche quando sia diretta all’accertamento negativo non di una servitù ma del diritto di proprietà di colui il quale non sia nel possesso esclusivo del bene (cfr. Cass. nn. 12123/92 e 473/65), ne deriva che nella fattispecie l’azione esercitata va qualificata come azione di accertamento della (com)proprietà, qualificata da una domanda accessoria di condanna ai sensi del cpv. dell’articolo appena citato, a nulla rilevando il fatto che le conclusioni formulate nell’atto di citazione siano state espresse mediante la sola richiesta di condanna” (Cass. 11 aprile 2014, n. 8608). (Giardino antistante o retrostante l’edificio: bene comune o pertinenza delle singole unità immobiliari?)...

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Ai centri commerciali si applicano le norme dettate per il condominio
Apr24

Ai centri commerciali si applicano le norme dettate per il condominio

Nel caso edifici che costituiscono dei centri commerciali si applicano le norme sul condominio negli edifici, fintanto che non trovano applicazione le clausole contrattuali che disciplinano la gestione degli spazi comuni alle singole unità immobiliari. Questa la conclusione che è possibile trarre leggendo la sentenza n. 7736 resa dalla Suprema Corte di Cassazione il 2 aprile 2014. Nel caso di specie uno il proprietario di un’attività commerciale ubicata nel predetto centro s’è visto condannato al pagamento delle spese condominiali richiestogli con decreto ingiuntivo. In breve: la società Alfa edifica un centro commerciale ed inizia a vendere le unità immobiliari in esso ubicate. Negli atti d’acquisto è previsto che la gestione delle parti comuni sia demandata ad un consorzio di successiva costituzione. Di conseguenza le spese per la gestione di tali aree avrebbero dovuto essere disciplinate in base agli accordi contrattuali. L’uso del condizionale non è casuale. Il consorzio, infatti, non veniva costituito e nelle more di tale atto, la gestione veniva demandata al condominio che, con regolari assemblee, provvedeva a ripartire i costi tra tutti i proprietari delle unità immobiliari ubicate nel centro. Ne seguiva un ricorso per decreto ingiuntivo contro uno dei partecipanti alla compagine. Questi si opponeva contestandone la legittimità: egli, a suo modo di vedere, non doveva alcunché in quanto gli atti d’acquisto lo esoneravano dalle spese. L’opposizione veniva accolta in primo grado ma, a seguito del giudizio d’appello promosso dal condominio si tornava al punto di partenza (vale a dire alla legittimità del decreto): insomma il condomino doveva pagare. Da qui il ricorso in Cassazione. Prima di entrare nel merito della soluzione fornita dagli ermellini, vale la pena soffermarsi sulla natura dell’obbligo di contribuzione alle spese di gestione del condominio. La Cassazione, sul punto la dottrina è concorde, afferma oramai da tempo che “le obbligazioni dei condomini di concorrere nelle spese per la conservazione delle parti comuni si considerano obbligazioni propter rem, perché nascono come conseguenza della contitolarità del diritto sulle cose, sugli impianti e sui servizi comuni. Alle spese per la conservazione per le parti comuni i condomini sono obbligati in virtù del diritto (di comproprietà) sulle parti comuni accessori ai piani o alle porzioni di piano in proprietà esclusiva. Pertanto, queste obbligazioni seguono il diritto e si trasferiscono per effetto della sua trasmissione” (Cass. 18 aprile 2003 n. 6323). Insomma si pagano le spese di conservazione in quanto s’è proprietari dell’unità immobiliare ubicata nell’edificio. (Decreto ingiuntivo condominiale: il verbale di approvazione del rendiconto è prova scritta) La normativa sulle spese ed in ogni caso quella sulla gestione delle parti comuni di un edificio può essere regolamentata tra le parti in modo autonomo, ma...

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La tettoia costruita a distanza inferiore di tre metri dalla finestra dev’essere sempre demolita
Apr23

La tettoia costruita a distanza inferiore di tre metri dalla finestra dev’essere sempre demolita

Il diritto di veduta previsto e disciplinato dall’art. 907 c.c. ha carattere assoluto sicché il proprietario della finestra ha diritto di chiedere in ogni caso l’eliminazione delle opere posizionate a distanza inferiore di tre metri. (nella specie trattasi di una tettoia) Questa la conclusione cui è giunta la Corte di Cassazione con la sentenza n. 7269 depositata in cancelleria il 27 marzo 2014. Diritto di veduta e distanze delle costruzioni Dei risvolti pratici dell’esistenza di questo diritto se ne occupa, s’è detto, l’art. 907 c.c. a mente del quale: Quando si è acquistato il diritto di avere vedute dirette verso il fondo vicino, il proprietario di questo non può fabbricare a distanza minore di tre metri, misurata a norma dell’art. 905. Se la veduta diretta forma anche veduta obliqua, la distanza di tre metri deve pure osservarsi dai lati della finestra da cui la veduta obliqua si esercita. Se si vuole appoggiare la nuova costruzione al muro in cui sono le dette vedute dirette od oblique, essa deve arrestarsi almeno a tre metri sotto la loro soglia. Il diritto di veduta si sostanzia in una vera e propria servitù che può acquistarsi per contratto e vista la sua apparenza (costituita dall’affaccio) anche per usucapione e destinazione del padre di famiglia (artt. 1061-1062 c.c.). Se la tettoia limita il diritto di veduta del proprietario del piano superiore, il giudice può ordinarne la rimozione Il titolare del diritto, quindi, può agire giudizialmente per ottenere la rimozione delle opere realizzate in spregio a quando disposto dall’art. 907 c.c. E’ evidente che l’accettazione e/o la preventiva autorizzazione espressa dell’opera fanno venir meno il diritto di agire per la sua rimozione. Ciò che conta, però, nel caso di violazione delle distanze ai sensi dell’art. 907 c.c. è solamente la violazione delle distanze medesime. E’ questa la soluzione cui è giunta la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza in esame. Nel caso di specie il convenuto in giudizio, poi ricorrente in Cassazione, lamentava l’illegittimità della decisione impugnata e ne chiedeva l’annullamento. Gli ermellini non sono stati d’accordo in quanto a loro modo di vedere, in relazione allo specifico caso la costruzione non rientrava nei casi indicati dal convenuto stesso (con corredata citazione di giurisprudenza di legittimità) e la questione doveva essere risolta applicando il principio di diritto (frutto di altro consolidato orientamento di legittimità) che recita: “l’art. 907 cod. civ., che vieta di costruire a distanza inferiore di tre metri dalle vedute dirette aperte sulla costruzione del fondo finitimo, pone un divieto assoluto, la cui violazione si realizza in forza del mero fatto che la costruzione è a distanza inferiore a quella stabilita, a...

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La nomina e la revoca giudiziale dell’amministratore di condominio
Apr18

La nomina e la revoca giudiziale dell’amministratore di condominio

La storia che andremo a raccontare è frutto di pura fantasia. Riferimenti a fatti e persone sono puramente casuali, ma, ahinoi, tristemente possibili. Le leggi, si dice, sono perfettibili: un modo diverso di dire che si possono migliorare. Quando, però, nascono male, ci si chiede perché non si sia pensato di rendere migliori il prim’ancora della loro approvazione. Nel caso del condominio, il riferimento è alla famigerata riforma, la fretta di approvare la legge n. 220 ha prevalso su qualunque valutazione di buon senso che, qualunque persona comune, come lo scrivente, poteva avanzare ed ha subito esposto. Nomina giudiziale; se ne occupa il primo comma dell’art. 1129 c.c. che recita: Quando i condomini sono più di otto, se l’assemblea non vi provvede, la nomina di un amministratore è fatta dall’autorità giudiziaria su ricorso di uno o più condomini o dell’amministratore dimissionario. La nomina giudiziale dell’amministratore di condominio, quindi, è possibile solamente se; a) i condomini sono più di otto; b) l’assemblea non vi provveda. Se i condomini sono sette, sei, cinque, e via dicendo fino al condominio minimo, la nomina, salvo un caso particolare di cui diremo appresso, è di esclusiva competenza assembleare. La soglia numerica (almeno nove condomini) è stata aumentata dalla riforma del condominio entrata in vigore il 18 giugno 2013. Revoca giudiziale: nessun limite numerico. La possibilità, per ogni condomino, di agire per via giudiziale al fine di interrompere il rapporto contrattuale con il mandatario è disciplinata dall’undicesimo comma dell’art. 1129 c.c. Il ricorso al giudice (id est al Tribunale del circondario in cui è ubicato il condominio) può essere diretto o subordinato ad un preventivo tentativo assembleare (per il caso di omessa apertura ed utilizzazione del c/c condominiale e per gravi irregolarità fiscali). La revoca giudiziale è sempre possibile al di là del numero dei condomini: non v’è differenza se si tratta di un condominio minimo o di una compagine con cento partecipanti. L’esempio che portiamo riguarda la nomina e la revoca giudiziale dell’amministratore di condominio. In un condominio con otto partecipanti, un condomino, chiamiamolo Tizio, decide di agire per ottenere la revoca giudiziale e vi riesce. L’amministratore fino ad allora in carica aveva combinato solo “casini” ed era meglio mandarlo via. Senza amministratore e con la necessità di nominarne uno (ci sono vari servizi comuni che necessitano di una figura competente a gestirli), Tizio, poiché la legge glielo consente (art. 66, secondo comma, disp. att. c.c.), provvede a convocare l’assemblea con un unico punto all’ordine del giorno: nomina nuovo amministratore. Revoca e nuova nomina illegittime per mancanza dei quorum deliberativi? Può dirlo solamente l’Autorità Giudiziaria e nel frattempo dev’esserci il passaggio di consegne L’assemblea,...

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