E’ reato trasformare un vano tecnico in abitazione?
Mag22

E’ reato trasformare un vano tecnico in abitazione?

I reati edilizi da trasformazione: quando la fame di spazio è insaziabile. Sovente capita che agli affamati di spazio venga l’infelice idea di sfruttare ogni centimetro cubo dell’immobile di proprietà per ricavarne ulteriori porzioni abitabili o, addirittura, vere e proprie abitazioni: avviene così pertanto che le cantine ed i garage si trasformino in uffici o in case abitabili, che le terrazze vengano coperte e murate, o molto spesso, come abbiamo già avuto modo di analizzare, (la chiusura con vetrate del balcone costituisce abusivismo edilizio?), che i balconi siano finestrati e diventino delle vere e proprie verande: tutte queste opere, per essere lecitamente eseguite, devono essere autorizzate dalle competenti autorità amministrative (Comuni innanzitutto, ma spesso anche Regioni). Una zona molto sensibile al fascino dell’abusivismo edilizio è certamente il sottotetto, quale fonte di ispirazione per tutti coloro che vi abbino accesso esclusivo o che a ciò aspirino: nello scorso mese di marzo la Cassazione si era occupata di tale porzione immobiliare (vivere nel sottotetto non si può), ricordando come costituisca reato l’adibirla ad abitazione senza permesso di costruire. Tale situazione è però evidentemente molto più frequente di quanto già non sembri tant’è vero che a distanza di appena qualche settimana i Giudici di Piazza Cavour tornano sull’argomento con una nuova pronuncia che risolve un caso molto simile a quello deciso a marzo. Accorpamento del sottotetto: una sola opera, tanti reati. Ed infatti con la sentenza n. 18709 del 06/05/2014, la III Sezione Penale del Supremo Collegio si pronuncia nuovamente su un caso di chiusura di un sottotetto effettuata per rendere abitabile quello che in origine non lo era affatto. Proprietario e direttore dei lavori vengono per tali opere rinviati a giudizio e condannati in primo e secondo grado per vari reati, tutti previsti dal T.U. dell’Edilizia (D.P.R. 380/2001), che vanno da quello previsto all’art. art. 64 (Progettazione, direzione, esecuzione, responsabilità in opere di conglomerato cementizio armato) a quello indicato dall’art. 65 (Denuncia dei lavori di realizzazione e relazione a struttura ultimata di opere di conglomerato cementizio armato), passando attraverso la previsione degli artt. 71 e 72 (Direzione dei lavori abusivi e omessa denuncia di opere in conglomerato cementizio), il tutto naturalmente non dimenticando il più importante, ossia il reato previsto e punito dall’art. 44 lett. B del T.U., che prevede l’arresto fino a 2 anni e l’ammenda sino ad oltre 100.000 euro per l’esecuzione di lavori in assenza del permesso di costruire. Come si vede, pertanto, con una sola azione si possono commettere molti reati, tutti concorrenti tra loro, con notevole aumento della pena finale (sia detentiva che pecuniaria) per cui è davvero il caso di pensarci bene prima di commettere...

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Anche il condomino del primo piano paga l’ascensore
Mag21

Anche il condomino del primo piano paga l’ascensore

Il fatto. L’inquilino di un edificio impugna una delibera assembleare deducendo che, contrariamente a quanto stabilito in una precedente delibera assembleare che aveva concesso ad alcuni condomini residenti al primo piano ed all’attore l’uso dell’ascensore, con la delibera impugnata l’assemblea aveva concesso ad un altro condomino residente al primo piano la possibilità di utilizzare l’ascensore. Nell’impugnazione della delibera l’attore sosteneva che il condominio, negandogli il diritto di utilizzare l’ascensore, violava un accordo transattivo risalente a svariati anni prima (1983) secondo il quale l’attore avrebbe potuto utilizzare l’ascensore con esonero dalle spese di manutenzione ordinarie e straordinarie e dalle spese di esercizio dello stesso. In base a tale accordo transattivo l’attore contestava, inoltre, il bilancio consuntivo e di previsione rispettivamente dell’anno in corso e di quello successivo che ponevano a suo carico, pro-quota, le spese di manutenzione ordinaria e straordinaria dell’ascensore. Il condominio, tramite il suo amministratore, si costituiva in giudizio precisando che l’attore era obbligato quantomeno al pagamento delle spese di esercizio dato che la precedente delibera assembleare, che poneva a carico dei condomini le spese per la manutenzione dell’ascensore, non era stata impugnata. I motivi della decisione. In primo luogo il condominio, in corso di causa ha revocato le delibere che impedivano all’attore l’uso dell’ascensore adeguandosi, in tal modo, all’accordo transattivo menzionato dall’attore che lo autorizzava ad utilizzare l’ascensore. Dunque dall’adeguamento del Condominio all’accordo transattivo menzionato dall’attore discendono, a parere del Giudice onorario del Tribunale di Perugia, una serie di effetti primo fra tutti, l’obbligo dell’attore di contribuire alle spese vive per garantire il funzionamento dell’ascensore. A questa conclusione il Giudice giunge anche analizzando il contenuto dell’accordo transattivo, che secondo l’attore avrebbe dovuto garantirgli l’esonero dalle spese di manutenzione ordinaria e straordinaria per la gestione dell’ascensore e dopo la sua morte tale diritto doveva essere assicurato anche al coniuge ed ai suoi discendenti diretti Il Giudice, invece, ha rilevato che l’accordo fa riferimento solo alle spese di manutenzione dell’ascensore esonerando dalle stesse l’attore, ma nulla dispone in merito alle spese relative al funzionamento dell’impianto. Il silenzio dell’accordo in merito a quest’ultimo aspetto genera solo una conclusione e cioè che l’attore non possa considerarsi esonerati dalla partecipazione, pro-quota, alle spese necessarie al funzionamento dell’impianto. Facendo leva su questa semplice constatazione il Tribunale di Perugia, con sentenza del 28 febbraio 2014, conclude con la condanna dell’attore al pagamento, pro-quota, delle spese di funzionamento dell’ascensore anche perché la delibera che ha disposto anche suo carico il pagamento di tali spese, malgrado adottata ad un’assemblea alla quale egli era presente, non è stata impugnata e tale circostanza gli ha impedito di fare ricorso a quanto sancito, all’epoca dei fatti, dal secondo comma...

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Prova del contenuto della raccomandata, spetta a chi la riceve darne prova?
Mag20

Prova del contenuto della raccomandata, spetta a chi la riceve darne prova?

Non è raro sentire affermare che nemmeno una raccomandata è in grado di dimostrare il contenuto della comunicazione. La raccomandata, si dice, prova che il mittente ha inviato una lettera e che il destinatario l’ha ricevuta un determinato giorno. Si badi: già sulla ricezione è necessario specificare alcuni aspetti. Ricevere non significa, per forza, firmare l’avviso di ricevimento; ricevimento, ai fini legali, può anche voler dire semplice inserimento dell’avviso di giacenza da parte del portalettere nella cassetta del destinatario. La lettera raccomandata anche in mancanza dell’avviso di ricevimento costituisce prova certa della spedizione. Ma torniamo alla questione iniziale: davvero chi riceve una raccomandata può dire di non aver ricevuto la lettera che il mittente sostiene di aver inviato ma, ad esempio, un foglio bianco oppure addirittura una busta vuota? Se stessero così le cose, quale sarebbe il rimedio? Diamo una risposta immediata e poi entriamo nel dettaglio: ad oggi non esiste una voce univoca sull’argomento. Siccome “chi pensa male fa peccato, ma alle volte c’azzecca“, ogni tanto “salta” fuori una sentenza (ed in materia non sono poche) che si pronuncia sull’argomento della prova del contenuto della raccomandata. Ultima in ordine di tempo, la sentenza della Corte di Cassazione n. 10388 depositata in cancelleria il 13 maggio 2014. Insomma il tema è dibattuto ed affrontato anche nelle aule di giustizia e non sempre con gli stessi risultati. Che cosa hanno affermato gli ermellini nella sentenza appena citata? La Corte s’è pronunciata su una lettera stragiudiziale di messa in mora, ma la portata del principio è chiaramente estensibile anche ad altre comunicazioni, tipo convocazione dell’assemblea, ecc. Si legge nella sentenza che “l’atto stragiudiziale di costituzione in mora del debitore, anche al fine dell’interruzione della prescrizione, inviato al debitore con raccomandata a mezzo del servizio postale, si presume giunto a destinazione – sulla base dell’attestazione della spedizione da parte dell’ufficio postale, pur in mancanza dell’avviso di ricevimento – e spetta al destinatario l’onere di dimostrare che il plico non contiene alcuna lettera al suo interno, ovvero contiene una lettera di contenuto diverso da quello indicato dal mittente” (da ultimo Cass. ord. 24.6.2013 n. 15762 in un caso analogo a quello oggetto del presente giudizio; nello stesso senso Cass. ord. 23.6.2011 n. 13877; Cass. ord. 7.4.2009 n.8409; Cass.3.7.2003 n. 10536; Cass. 11.5.2006 n. 10849)” (Cass. 13 maggio 2014 n. 10388). La pronuncia, insomma, non è l’unica in tal senso; in essa si legge altresì che il debitore, pur contestando il contenuto della raccomandata, non aveva, poi, fornito prova che esso fosse differente da quello addotto dall’attore. Si diceva, però, che non sempre la Cassazione s’è pronunciata in tal senso. Nel 2005 ad esempio,...

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Qual è il giudice competente per le cause condominiali?
Mag08

Qual è il giudice competente per le cause condominiali?

In tema di cause condominiali, qualunque sia la natura della controversia, le parti devono rivolgersi al giudice del circondario nel cui ambito è ubicato l’edificio in condominio. L’art. 23 del codice di procedura civile, infatti, prevede una riserva di competenza territoriale per questi uffici giudiziari. A ribadire questo principio, conforme al pressoché unanime orientamento giurisprudenziale, è stata la Cassazione con l’ordinanza n. 9071 del 18 aprile 2014. Competenza per valore e competenza per territorio La parte che intenda rivolgersi ad un giudice per la tutela dei propri diritti, prima di farlo, deve individuare il giudice competente a occuparsi della vicenda. Detta fuori dal linguaggio giuridico, la competenza altro non è che l’ambito nel quale lo specifico ufficio giudiziario è chiamato a risolvere le controversie sottoposte alla sua attenzione. Salvi i casi in cui la legge preveda delle riserve di competenza assoluta per uno specifico ufficio giudiziario (si pensi al Tribunale per le controversie relative alla nomina o revoca, o il giudice di pace per quelle sulla misura d’uso dei beni comuni), solitamente per la determinazione della competenza è necessario guardare due parametri: a) il valore della controversia; b) il luogo del fatto o il luogo in relazione alle parti in causa. Così, ad esempio, per le cause riguardanti beni mobili in cui valore non superi € 5.000,00 (si pensi alle cause aventi ad oggetto pagamenti) è competente il giudice di pace. (Cause condominiali in corso: perché è importante sapere che cosa dice la Cassazione su argomenti simili?) Per capire, poi, se è competente il giudice di pace di Roma o quello di Napoli piuttosto che di Milano, è necessario guardare al luogo di residenza o dimora del convenuto (art. 18 c,p.c.) ed in alcuni casi anche all’oggetto del contendere. Così, per portare un esempio concreto, per le cause relative a diritti di obbligazione (si pensi al diritto a vedere pagato la prestazione eseguita in ragione di un contratto) è anche competente il giudice del luogo in cui è sorta o deve eseguirsi l’obbligazione dedotta in giudizio (art. 20 c.p.c.). Nel caso del condominio, il codice di procedura civile prevede una riserva di competenza territoriale. Recita l’art. 23 c.p.c.: Per le cause tra soci è competente il giudice del luogo dove ha sede la società; per le cause tra condomini, ovvero tra condomini e condominio, il giudice del luogo dove si trovano i beni comuni o la maggior parte di essi. Tale norma si applica anche dopo lo scioglimento della società o del condominio, purché la domanda sia proposta entro un biennio dalla divisione. Nella causa risolta dalla Cassazione con l’ordinanza n. 9071, il ricorrente per Cassazione lamentava l’erronea applicazione...

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Nomina di un nuovo amministratore e revoca del precedente
Mag07

Nomina di un nuovo amministratore e revoca del precedente

L’assemblea, convocata per la revoca o le dimissioni, delibera in ordine alla nomina del nuovo amministratore. Così recita il secondo periodo dell’art. 1129, decimo comma, c.c. In buona sostanza se i condomini intendono chiedere la convocazione di un’assemblea per la revoca dell’amministratore in carica o se quest’ultimo convoca l’assise per la comunicazione delle sue dimissioni, l’ordine del giorno deve recitare pressappoco così: – revoca (o dimissioni) dell’amministratore in carica e nomina di un nuovo amministratore. Che cosa succede se, invece, i condomini deliberano la nomina di un nuovo amministratore senza prima decidere sulla revoca di quello in carica? Si pensi all’assemblea autoconvocata (cfr. art. 66, primo comma, disp. att. c.c.), perché l’amministratore uscente non ha provveduto ad evadere la richiesta nei tempi previsti dalla legge, nella quale i condomini abbiano inserito all’ordine del giorno un unico punto, ossia nomina nuovo amministratore, senza prima procedere alla revocazione di quello attualmente in carica. Quel deliberato può considerarsi illegittimo? Al quesito ha fornito soluzione la Corte di Cassazione con la sentenza n. 9082 del 18 aprile 2014. La pronuncia desta particolare interesse in quanto, pur riguardando un caso sorto prima dell’entrata in vigore della riforma, mantiene uguale valore anche alla luce dell’attuale normativa; vediamo perché. Rapporto amministratore condominio Ormai da anni era in giurisprudenza si affermava che “l’amministratore del condominio raffigura un ufficio di diritto privato assimilabile al mandato con rappresentanza: con la conseguente applicazione, nei rapporti tra l’amministratore e ciascuno dei condomini, delle disposizioni sul mandato” (così, tra le tante, Cass. SS.UU. n. 9148/08). La legge n. 220/2012 (la così detta riforma) novellando l’art. 1129 c.c. ha introdotto un comma, il quindicesimo, che rinvia alla disciplina del contratto di mandato, in quanto compatibile, per tutto quanto non previsto dal medesimo art. 1129 c.c. Come si suole dire s’è verificato un sostanziale recepimento nel dettato normativo dell’elaborazione giurisprudenziale. È in questo contesto di sostanziale continuità, nel passato ed attualmente, si muoveva e si deve muovere l’interpretare per dare risposta al quesito che abbiamo formulato in precedenza? Che cos’ha detto la Cassazione riguardo alla nuova nomina non preceduta da revoca? (=>Perchè la revoca e la nuova nomina possono essere illegittime per mancanza dei quorum) Si legge in sentenza che le norme sul mandato trovano applicazione nel rapporto tra amministratore e condominio se non sono incompatibili con lo specifico rapporto. In questo contesto la revoca tacita del mandatario, disciplinata dall’art. 1724 c.c. non pare incompatibile con la disciplina dei rapporti appena citati. Ciò perché, spiega la Corte, “deve sottolinearsi che, ai sensi dell’art. 1129 cod. civ., l’amministratore può essere revocato in ogni tempo dall’assemblea e, quindi, anche prima della scadenza annuale senza alcuna motivazione...

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L’omessa convocazione può essere fatta valere solamente da chi non è stato convocato
Mag06

L’omessa convocazione può essere fatta valere solamente da chi non è stato convocato

Chi può far valere il vizio di omessa convocazione del condomino? Solamente il condomino che non è stato convocato e non anche i presenti e gli assenti ritualmente avvisati. Parola di Cassazione. La sentenza che contiene l’esplicitazione, non è una novità, di questo principio di diritto è la n. 9082 del 18 aprile 2014, e si fa notare per un fatto di non secondaria importanza. Gli ermellini, infatti, in ragione di una non meglio specificata “interpretazione evolutiva” della norma hanno tratto il loro convincimento dai precedenti pronunciamenti e dalle novità introdotte dalla riforma del condominio (legge n. 220/2012). Si badi: ai giudici non è sfuggito di ricordare che la legge n. 220 non si applicava direttamente al caso che hanno risolto (la riforma è successiva alla controversia) ma ciò non gli ha vietato di affermare che il loro modo d’interpretare la norma è corroborato anche da quanto la norma stessa è poi divenuta. Questo ragionamento non va esente da critiche, ma per ora limitiamoci a vedere come si è arrivati a queste affermazioni, lasciando alla conclusione l’esame della decisione. Il caso è di quelli ricorrenti: un condomino impugna una delibera per omessa convocazione. Piccolo particolare: egli, seppur assente, era stato convocato. In primo grado il Tribunale accoglie il suo ricorso, ma in appello l’esito del giudizio è ribaltato: chi è stato convocato (anche se assente o dissenziente) non ha interesse a far valere il vizio di omessa convocazione di altri. La questione della legittimazione ad agire per l’omessa convocazione, in effetti, non è mai stata chiarissima ed in giurisprudenza non è raro trovare decisioni di segno opposto, anche se l’orientamento accolto dalla Corte d’appello prima e dalla Cassazione poi, appare in maggioritario. Da qui, dunque, il ricorso per Cassazione dell’originario impugnante. Ricorso respinto. Si legge in sentenza che “deve escludersi la legittimazione ad impugnare, ai sensi dell’art. 1137 cod. civ., la delibera condominiale da parte del condomino assente, il quale faccia valere il vizio di annullabilità per difetto dell’avviso di convocazione dell’assemblea, quando esso sia relativo ad altro condomino, in quanto si tratta di un vizio che non lo riguarda direttamente, inerendo alla altrui sfera giuridica” (Cass. 18 aprile 2014 n. 9082). Fin qui, come dire, la Corte ha scelto di aderire, sia pur senza motivare puntigliosamente, a quell’orientamento che considera legittimati ad far valere un vizio solamente quelle persone che da quel vizio sono colpite. (Perchè è importante comunicare l’avviso di convocazione in anticipo.) Per corroborare la propria presa di posizione, la Cassazione afferma che “tale orientamento, peraltro condiviso dalla dottrina, appare conforme a una interpretazione evolutiva della norma, dovendo qui sottolinearsi che con la legge n. 220...

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