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Via libera all’installazione dell’ascensore che permette ai disabili di muoversi senza ostacoli

Le barriere architettoniche devono essere rimosse anche nel caso in cui e le persone interessate non sono proprietarie dell’appartamento o non risiedono stabilmente nell’edificio. Per la Corte di cassazione la solidarietà sociale deve avere la meglio sull’estetica e non si deve essere rigidi nell’osservanza del regolamento quando il suo rispetto finisce per diventare irragionevole.
A tutti deve essere facilitato l’accesso e niente importa se l’innovazione deturpa l’estetica dell’edificio o non è stata votata all’unanimità.

(Nella specie, il proprietario di una unità immobiliare convenne in giudizio il condominio deducendo la nullità della delibera che aveva approvato la installazione di un ascensore, in quanto adottata con maggioranza inferiore a quella prescritta dall’art. 1120 cod. civ., e sostenendo, inoltre, che l’opera realizzata era lesiva dei diritti dei condomini, in quanto aveva ristretto la luce del passaggio sulla prima rampa di scale, impedendo anche il passaggio di eventuali mezzi di soccorso, oltre a risultare lesiva del decoro architettonico e della normativa antincendio ed a comportare un deprezzamento dell’immobile.)

Si legge nella sentenza:

1 – Con il primo motivo del ricorso principale, si lamenta la violazione dell’art. 102 cod.proc.civ. in relazione all’art. 360 n. 4 cod.proc.civ.. La domanda avanzata dall’attuale resistente con la citazione introduttiva del giudizio di primo grado, volta all’annullamento della delibera condominiale del 25 luglio 2004, con la quale era stata decisa la installazione dell’ascensore, e la conseguente rimozione dell’impianto realizzato, avrebbe richiesto, ad avviso del condominio ricorrente, la integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i condomini, o, quanto meno, di quelli che erano proprietari dell’ascensore realizzato (non avendo partecipato tutti i condomini alla costruzione dell’ascensore, e, dunque, appartenendo lo stesso a coloro che lo avevano installato a proprie spese). Infatti, le azioni dirette ad ottenere una pronuncia di condanna all’esecuzione di opere comportanti la trasformazione fisica di un bene in comunione, e quindi anche la distruzione dello stesso, devono essere esercitate nei confronti di tutti i comproprietari.

2.1. – La censura risulta in parte inammissibile, in parte infondata.

2.2. – Essa non può trovare ingresso nel presente giudizio di legittimità nella parte in cui deduce a fondamento del motivo la proprietà non condominiale dell’ascensore, in quanto l’eccezione della non partecipazione di tutti i condomini alla sua installazione, sollevata in primo grado per legittimare il quorum della delibera assembleare, era stata condivisa dal giudice sulla base del solo rilievo che allo stato non vi era la prova che l’ascensore fosse stato installato a spese di tutti i condomini, senza alcuna verifica degli eventuali comproprietari dello stesso.

2.3. – La doglianza è, invece, infondata nella parte residua, poiché, a differenza che nella comunione, secondo l’orientamento espresso da questa Corte, che il Collegio intende ribadire, il secondo comma dell’art. 1131 cod. civ., nel prevedere la legittimazione passiva dell’amministratore in ordine ad ogni lite avente ad oggetto interessi comuni dei condomini (senza distinguere tra azioni di accertamento ed azioni costitutive o di condanna), deroga alla disciplina valida per le altre ipotesi di pluralità di soggetti passivi, soccorrendo, così, all’esigenza di rendere più agevole ai terzi la chiamata in giudizio del condominio, senza la necessità di promuovere il litisconsorzio passivo nei confronti dei condomini (v., tra le altre, Cass., sentt. n. 7474 del 1997, n. 1485 del 1996).

3. – Con la seconda doglianza, che si articola in molteplici profili, sì lamenta anzitutto la violazione dell’art. 2909 cod.civ., in relazione all’art. 360, n. 3 e n. 4, cod.proc.civ., nonché la violazione dell’art. 112 cod.proc.civ. e dell’art. 346 cod.proc.civ. in relazione all’art. 360, n. 4, cod.proc.civ. La Corte territoriale, nel ritenere che, sia per il mancato riferimento, nella delibera condominale, alla legge n. 13 del 1989, sia per la ritenuta mancanza di disabili nel condominio, la stessa legge non fosse applicabile nella specie, e che, conseguentemente, non fosse applicabile la maggioranza ridotta di cui a detta legge, donde la invalidità della delibera in questione per mancanza della maggioranza prevista dal codice civile, avrebbe violato il giudicato interno, pronunciando, per di più, ultra petita. Infatti, nel giudizio di primo grado il C. aveva chiesto che venisse dichiarata nulla la deliberazione assembleare del 25 luglio 1994 per il mancato raggiungimento delle maggioranze previste dall’art. 1136, quinto comma, cod.civ., e, in via subordinata, che venisse dichiarata la illegittimità dell’innovazione, in quanto vietata dall’art. 1120, secondo comma, cod.civ. Il Tribunale aveva accolto la domanda subordinata e respinto la domanda principale sul rilievo, da un lato, che si sarebbe dovuta proporre una domanda di annullamento, e, dall’altro, che, essendo state le spese per l’installazione dell’ascensore sostenute solo da una parte dei condomini, era applicabile l’art. 1102, e non era, perciò, richiesta la maggioranza di cui all’art. 1136, quinto comma, cod.civ. Il relativo capo della sentenza non era stato oggetto di appello principale né incidentale, sicché era passato in giudicato.

4.1. – Tale profilo della censura risulta inammissibile.

4.2. – Infatti, la effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata è ravvisabile essenzialmente nella considerazione che l’assemblea aveva deliberato innovazioni vietate, e non nel rilievo della assunzione della delibera in assenza delle previste maggioranze.

4.3. – E tuttavia, la censura trova ingresso nel presente giudizio con riferimento agli ulteriori profili, sollevati in via subordinata, e concernenti: 1) la violazione dell’art. 2 della legge n. 13 del 1989 per il rilievo attribuito alla circostanza che l’assemblea del 25 luglio 1994 non avesse avuto ad oggetto alcuna delibera attinente al superamento delle barriere architettoniche, bensì la realizzazione dell’impianto ascensore, laddove, ai fini del quorum per la validità della delibera, non sarebbe stato necessario che in essa fosse esplicitato lo scopo di abbattere le barriere architettoniche; 2) la violazione della stessa disposizione sotto il profilo che la presenza di invalidi nell’edificio non condizionerebbe il quorum della delibera diretta alla rimozione delle barriere architettonica; 3) la omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia, attinente alla affermazione della mancata prova che nello stabile vivessero portatori di handicap, pur in presenza di documentazione attestante lo stato di invalidità di due condomini.

4.4. – Tali profili non possono, infatti, ritenersi assorbiti dalla inammissibilità del primo, perché, se è vero che la decisione della Corte territoriale si è fondata, come chiarito sub 4.2, sul carattere di innovazione vietata attribuito dal giudice di secondo grado alla installazione dell’ascensore, e non sulla individuazione di una o piuttosto di un’altra maggioranza ai fini della delibera relativa alla realizzazione di tale opera, non può negarsi che la decisione sull’applicabilità o meno, nella specie, della legge n. 13 del 1989 non sarebbe stata priva di rilievo proprio ai fini del giudizio sulla configurabilità di una innovazione vietata, per le ragioni che saranno meglio chiarite in sede di esame della quarta, della quinta e della sesta censura, attinenti appunto a tale tema.

4.5.1. – – E dunque, dovendosi procedere all’esame nel merito dei sopra specificati profili di censura, non può che convenirsi con il ricorrente, sulla irrilevanza, ai fini della valutazione operata dal giudice di secondo grado di inapplicabilità, nella specie, della citata legge n. 13 del 1989, della circostanza che l’assemblea del 25 luglio 1994 non avesse avuto ad oggetto una delibera attinente alla eliminazione delle barriere architettoniche, posto che la delibera di installazione di un ascensore si muove sostanzialmente all’evidenza in tale direzione.

4.5.2. – Del pari condivisibili sono le argomentazioni del ricorrente in ordine alla irrilevanza, ai fini dell’applicabilità della legge n. 13 del 1989, della presenza di invalidi nell’edificio. In realtà, le disposizioni della legge di cui si tratta sono volte a consentire ai disabili di accedere senza difficoltà in tutti gli edifici, e non solo presso la propria abitazione. In proposito, la Corte costituzionale, nella sentenza n. 167 del 1999 – con la quale fu dichiarata la illegittimità costituzionale dell’art. 1052, secondo comma, cod.civ. nella parte in cui non prevedeva che il passaggio coattivo a favore di fondo non intercluso potesse essere concesso dall’autorità giudiziaria quando questa riconoscesse la rispondenza della relativa domanda alle esigenze di accessibilità degli edifici destinati ad uso abitativo -, osservò che la legislazione in tema di eliminazione delle barriere architettoniche aveva configurato la possibilità di agevole accesso agli immobili anche da parte di persone con ridotta capacità motoria, come requisito oggettivo quanto essenziale degli edifici privati di nuova costruzione a prescindere dalla concreta appartenenza degli stessi a soggetti portatori di handicap. E, nel solco di tale orientamento, più di recente questa Corte, con la sent. n. 14786 del 2009, ha chiarito che l’art. 2, comma 1, della legge n. 13 del 1989 prevede un abbassamento del quorum richiesto per l’innovazione, indipendentemente dalla presenza di disabili, in relazione ai quali è invece dettata la disposizione del comma 2, che consente loro, in caso di rifiuto del condominio di assumere le deliberazioni aventi ad oggetto le innovazioni atte ad eliminare negli edifici privati le barriere architettoniche, di installare a proprie spese servo scala o strutture mobili e modificare l’ampiezza delle porte d’accesso al fine di rendere più agevole l’accesso agli edifici, agli ascensori e alle rampe dei garages.

4.5.3. – Resta assorbito dalle considerazioni appena esposte l’ulteriore profilo di censura, relativo all’affermazione della Corte di merito della mancata dimostrazione che nello stabile vivessero portatori di handicap, pur in presenza di documentazione attestante l’asserito stato di invalidità di due condomini.

5. – Con il terzo motivo del ricorso principale, oltre al difetto di giurisdizione del giudice ordinario – sul quale si sono già pronunciate le Sezioni Unite, escludendolo, con la sentenza n. 12722 del 2011 -, si lamenta la violazione del principio desumibile dall’art. 2907 cod.civ. e dall’art. 99 cod.proc.civ., secondo il quale non si può adire il giudice ordinario se non per far valere un diritto, laddove il C. avrebbe vantato solo un interesse legittimo all’osservanza delle norme antincendio.

6. – Il motivo è infondato, sol che si consideri che il riferimento alla normativa antincendio è stato operato al solo scopo di valutare il pregiudizio cagionato dalla installazione dell’ascensore alla sicurezza del fabbricato, e non per affermare un diritto del condomino alla demolizione di un’opera non conforme a tali norme o alle prescrizioni dettate dall’autorità.

7. – Con il quarto motivo si denuncia la insufficienza della motivazione in ordine al pregiudizio al decoro architettonico ed agli argomenti addotti dal condominio per escluderlo. Si assume che l’ascensore non era visibile dall’esterno e che, secondo la c.t.u., non aveva cagionato un pregiudizio economicamente valutabile, tenuto anche conto che l’atrio dell’edificio non aveva pregi particolari; che il pregiudizio estetico incideva solo minimamente sul deprezzamento subito dall’alloggio del C. . Si aggiunge che al danno cagionato dall’ingombro e dall’opera in alluminio anodizzato similoro si sarebbe potuto ovviare con la sostituzione dell’alluminio con prodotti verniciati bruniti.

8. – Con il quinto motivo si lamenta la insufficienza e contraddittorietà della motivazione su di un punto decisivo, relativo al peggioramento delle condizioni di sicurezza per i condomini e sugli argomenti addotti in relazione ad esse. Si assume che la sentenza non avrebbe confrontato le condizioni di sicurezza anteriori al restringimento delle scale con quelle conseguenti alla realizzazione dell’ascensore, aderendo alle equivoche conclusioni del c.t.u. sulla possibilità di transito di barelle attraverso le scale.

9. – Con il sesto motivo, si deduce ancora difetto di motivazione su di un punto decisivo in relazione all’art. 132, n. 4, cod.proc.civ., in ordine alla ponderazione degli interessi dei condomini in relazione al principio di solidarietà che deve informare i rapporti tra i condomini.

10.1. – I motivi che, stante la intima connessione logico-giuridica che li avvince, vanno esaminati congiuntamente, sono infondati nei termini che seguono.

10.2. – Questa Corte, con la sentenza n. 4474 del 1987, ha affermato che la tutela del decoro architettonico è stata apprestata dal legislatore in considerazione della diminuzione del valore che la sua alterazione arreca all’intero edificio e, quindi, anche alle singole unità immobiliari che lo compongono. Pertanto, il giudice del merito, per stabilire se in concreto vi sia stata lesione di tale decoro, oltre ad accertare se esso risulti leso o turbato, deve anche valutare se tale lesione o turbativa determini o meno un deprezzamento dell’intero fabbricato, essendo lecito il mutamento estetico che non cagioni un pregiudizio economicamente valutabile o che, pur arrecandolo, si accompagni a un’utilità la quale compensi l’alterazione architettonica che non sia di grave e appariscente entità. In tale ottica, andavano verificati il pregiudizio al decoro architettonico di un ascensore collocato nell’atrio dell’edificio, e non all’esterno di esso, ed il pregiudizio all’uso o godimento delle parti comuni.

10.3.1. – Si sarebbe, inoltre, dovuto tenere conto del principio di solidarietà condominiale. A tale riguardo, questa Corte, con la sentenza n. 12520 del 2010, ha affermato che, in materia condominiale, le norme relative ai rapporti di vicinato, tra cui quella dell’art.889 cod. civ., trovano applicazione rispetto alle singole unità immobiliari soltanto in quanto compatibili con la concreta struttura dell’edificio e con la particolare natura dei diritti e delle facoltà dei singoli proprietari. Pertanto, qualora esse siano invocate in un giudizio tra condomini, il giudice di merito è tenuto ad accertare se la loro rigorosa osservanza non sia nel caso irragionevole, considerando che la coesistenza di più appartamenti in un unico edificio implica di per sé il contemperamento dei vari interessi al fine dell’ordinato svolgersi di quella convivenza che è propria dei rapporti condominiali.

10.3.2.- A più forte ragione si sarebbe dovuto tener presente il richiamato principio ai fini di una decisione che, come quella censurata, coinvolgeva i diritti fondamentali dei disabili. Va, in proposito, ricordato che, come sottolineato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 167 del 1999, richiamata sub 4.5.2., la legislazione relativa ai portatori di handicap (ed in particolare la legge 9 gennaio 1989, n. 13, recante “Disposizioni per favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati” e la legge 5 febbraio 1992, n. 104, “Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”, cui si sarebbero aggiunti successivamente il d.lgs. 9 luglio 2003, n. 216, recante “Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro” e la legge 1 marzo 2006, n. 67, recante “Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni”) non si è limitata ad innalzare il livello di tutela in favore di tali soggetti, ma ha segnato, come la dottrina non ha mancato di rilevare, un radicale mutamento di prospettiva rispetto al modo stesso di affrontare i problemi delle persone affette da invalidità, considerati ora quali problemi non solo individuali, ma tali da dover essere assunti dall’intera collettività. Quale conseguenza del mutamento di prospettiva, e dell’affermarsi nella coscienza sociale del dovere collettivo di rimuovere preventivamente ogni possibile ostacolo alla esplicazione dei diritti fondamentali delle persone affette da handicap fisici, sono state introdotte, con le leggi citate, disposizioni generali per la costruzione degli edifici privati e per la ristrutturazione di quelli preesistenti, intese alla eliminazione delle barriere architettoniche, indipendentemente dalla effettiva utilizzazione degli edifici stessi da parte delle persone disabili. Un forte impulso alla tutela dei disabili si è successivamente registrato sul piano internazionale: si pensi alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità del 13 dicembre 2006, firmata dall’Italia in data 30 marzo 2007 e ratificata con legge 3 marzo 2009, n. 18, che sottolinea l’obbligo degli Stati di rimuovere la condizione di minorità, che non nasce solo dalla condizione fisica del disabile, ma anche dalla esistenza delle barriere che ne impediscono la piena partecipazione alla vita sociale, e che pone attenzione specifica alla questione dell’accessibilità. E ciò nel presupposto che – come la Corte costituzionale italiana ebbe modo già nella più volte richiamata sent. n. 167 del 1999 -, ormai superata la concezione di una radicale irrecuperabilità dei disabili, la socializzazione deve essere considerata un elemento essenziale per la salute dei soggetti in esame, sì da assumere una funzione sostanzialmente terapeutica assimilabile alle stese pratiche di cura e riabilitazione.

10.4. – In definitiva, nella specie, la Corte ligure avrebbe dovuto valutare la sussistenza della ipotesi, di cui all’art. 1120, secondo comma, cod. civ., di innovazioni vietate in quanto idonee a recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, ovvero tali da alterarne il decoro architettonico o da rendere talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino, facendo applicazione dei richiamati principi di diritto. Avrebbe dovuto il giudice di secondo grado, nel compiere detta valutazione, altresì tenere conto che, secondo l’orientamento di questa Corte, cui il Collegio intende dare continuità, nell’identificazione del limite all’immutazione della cosa comune, disciplinato dall’art. 1120, comma secondo, cod. civ., il concetto di inservibilità della stessa non può consistere nel semplice disagio subito rispetto alla sua normale utilizzazione – coessenziale al concetto di innovazione – ma è costituito dalla concreta inutilizzabilità della res communis secondo la sua naturale fruibilità; si può tener conto di specificità – che possono costituire ulteriore limite alla tollerabilità della compressione del diritto del singolo condomino – solo se queste costituiscano una inevitabile e costante caratteristica di utilizzo (Cass., sent. n. 15308 del 2011).

10.5. – Con riguardo, poi, alla questione della sicurezza con riferimento alla ipotesi di necessità di passaggio di mezzi di soccorso, effettivamente il giudice di secondo grado è incorso nella omissione denunciata dal ricorrente, consistita nel mancato confronto delle condizioni di sicurezza anteriori al restringimento delle scale con quelle conseguenti alla realizzazione dell’ascensore.

11. – Resta assorbito dall’accoglimento del quarto, quinto e sesto motivo l’esame del settimo, sollevato in via subordinata, avente ad oggetto l’asserito contrasto dell’art. 2, comma 1, della legge n. 13 del 1989 in riferimento agli artt. 2 e 42 Cost., nella parte in cui, nel far salve le previsioni dell’art. 1120, secondo comma, cod.civ., non prevede che, nella valutazione delle conseguenze della innovazione, ai fini del decidere sulla ammissibilità della stessa, si debba dare importanza preminente all’abbattimento della barriere architettoniche.

12. – Resta, altresì, assorbito l’esame dell’ottavo motivo, attinente alla asserita violazione dell’art. 1120, secondo comma, cod.civ. in relazione all’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo la quale l’installazione dell’ascensore avrebbe determinato una svalutazione dell’alloggio del C. , laddove la svalutazione della proprietà esclusiva del singolo condomino non sarebbe, di per sé, motivo sufficiente per ritenere illegittima l’innovazione stessa.

13. – Resta, infine, assorbito l’esame del ricorso incidentale, il cui unico motivo ha ad oggetto la omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione sul diniego del risarcimento del danno al C. per la presenza dell’ingombro nel vano scale, che avrebbe comportato riduzione di aria, luce e vista per la sua proprietà, danno che era in re ipsa, e del quale era stata richiesta la liquidazione anche in via equitativa.

14. – In definitiva, vanno rigettati il primo ed terzo motivo del ricorso principale, del quale devono, invece, essere accolti il secondo (nei limiti di cui sub 4.5.1. e 4.5.2.), il quarto, il quinto ed il sesto motivo, assorbiti il settimo e l’ottavo ed il ricorso incidentale. La sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti e la causa rinviata ad un diverso giudice – che viene designato in altra Sezione della Corte d’appello di Genova, cui è demandato altresì il regolamento delle spese del presente giudizio e di quello innanzi alle Sezioni Unite -, che riesaminerà la controversia alla stregua dei principi di diritto enunciati sub 4.5.1., 4.5.2., 10.2, 10.3.1., 10.3.2., 10.4., nonché dei rilievi svolti sub 10.5 con riguardo alla questione della sicurezza in relazione alla ipotesi di necessità di passaggio di mezzi di soccorso.

Fonte: Condominioweb.com

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