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Per la cessione di una parte condominiale è necessario il consenso scritto di tutti i condomini

Il condominio, dal punto di vista del diritto di proprietà, la definizione è nota ai più, è una particolare forma di comunione nella quale al fianco di parti di proprietà esclusiva vi sono parti di proprietà comune ai titolari delle prime necessarie al miglior godimento delle medesime.

Dal punto di vista della gestione la compagine, invece, sia pur impropriamente (vedi Cass. SS.UU. n. 9148/08), è equiparata ad un ente di gestione sprovvisto di personalità giuridica, distinta da quella dei singoli condomini, cui è demandata la gestione delle parti comuni.

In questo contesto, una cosa è certa: ogni condomino ha diritto a partecipare alle decisioni concernenti la gestione e conservazione delle parti comuni. Poiché assumere delle decisioni all’unisono può essere cosa difficile oltre che, in determinati casi, obiettivamente inutile rispetto alla specifica decisione, il codice civile, per la stragrande maggioranza delle deliberazioni, ritiene sufficiente l’assunzione a maggioranza (con quorum differenziati rispetto all’oggetto della deliberazione) per considerare una deliberazione validamente assunta e quindi obbligatoria per tutti i condomini (art. 1137, primo comma, c.c.).

Ciò, tuttavia, non vuol dire che ogni decisione possa essere assunta dall’assemblea a maggioranza. Si pensi al caso del regolamento condominiale contenente clausole limitative del diritto dei singoli sulle parti di proprietà comune o esclusiva, il così detto regolamento contrattuale. Un esempio su tutti: il divieto di destinare l’abitazione a studio professionale.

In questi casi, poiché l’atto incide sul diritto individuale, comprimendolo, è necessario il consenso di tutti i condomini affinché lo stesso sia valido; diversamente esso dovrebbe essere considerato irrimediabilmente nullo.

Lo stesso dicasi per determinati atti di disposizione, quale, ad esempio, la compravendita. In questo caso la norma di riferimento è l’art. 1108, terzo comma, c.c. a mente del quale “ è necessario il consenso di tutti i partecipanti per gli atti di alienazione o di costituzione di diritti reali sul fondo comune e per le locazioni di durata superiore a nove anni”.

La Cassazione, chiamata a pronunciarsi sull’applicazione della norma in merito al condominio negli edifici, ha avuto modo di specificare che “ è chiaro il disposto dell’art. 1108 c.c., comma 3 (applicabile al condominio in virtù del rinvio ex art. 1139 c.c.) che, espressamente, richiede il consenso di tutti i comunisti e, quindi, di tutti i condomini, per gli atti di alienazione del fondo comune, o di costituzione su di esso di diritti reali o per le locazioni ultranovennali (alle quali ben può essere assimilata la concessione in uso esclusivo a tempo indeterminato, ove a tale concessione voglia conferirsi natura obbligatoria e non reale)” (Cass. 24 febbraio 2006 n. 4258). Insomma per vendere una parte comune è sempre necessario il consenso scritto (poiché la compravendita immobiliare deve rispettare, a pena di nullità, questa forma) di tutti i condomini.

Fonte: Condominioweb.com

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