Un condominio impugna l’ordinanza del Comune con la quale era stato ordinato di “adottare azioni di contenimento del rumore prodotto dall’impianto ascensore, posto a servizio dello stabile stesso“.
Il fatto. Nel 2000 il condominio aveva fatto eseguire dei lavori sull’ascensore condominiale, risalente al 1956, con i quali era stata apportata una parziale modifica all’impianto. Nel 2004, però, uno dei condomini, ha convenuto in giudizio innanzi al Giudice di pace il condominio, lamentando immissioni rumorose provenienti dall’impianto stesso.
Successivamente, il Comune ha emesso l’ordinanza impugnata fondandola sulle disposizioni dellal. n. 447/1995 e successivo D.P.C.M. di attuazione del 5 dicembre 1997, art. 11 disp. prel al cod. civ.
La normativa di settore. Il principio cardine relativamente alle di immissioni in fondo altrui è costituito dalla disposizione dell’art. 844 c.c. che prevede che “Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi. Nell’applicare questa norma l’autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà. Può tener conto della priorità di un determinato uso“.
Tale disposizione, quindi, si rifà ad un criterio (la normale tollerabilità) che consente al giudice un ampio margine di valutazione delle fattispecie concrete.
Alla luce, però, della sempre maggior nocività delle immissioni acustiche a causa di una urbanizzazione del territorio sempre più rilevante, il legislatore ha ritenuto di intervenire per dettare “i princìpi fondamentali in materia di tutela dell’ambiente esterno e dell’ambiente abitativo dall’inquinamento acustico, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 117 della Costituzione” (art. 1 l. 447/1995).
In particolare, l’inquinamento acustico viene definito, dall’art. 2, comma 1), lett. a), della l. 447/1995 come “l’introduzione di rumore nell’ambiente abitativo o nell’ambiente esterno tale da provocare fastidio o disturbo al riposo ed alle attività umane, pericolo per la salute umana, deterioramento degli ecosistemi, dei beni materiali, dei monumenti, dell’ambiente abitativo o dell’ambiente esterno o tale da interferire con le legittime fruizioni degli ambienti stessi”.
Con il D.P.C.M. 5-12-1997, inoltre, sono stati delineati “in attuazione dell’art. 3, comma 1, lettera e), della legge 26 ottobre 1995, n. 447, determina i requisiti acustici delle sorgenti sonore interne agli edifici ed i requisiti acustici passivi degli edifici e dei loro componenti in opera, al fine di ridurre l’esposizione umana al rumore” (art. 1 del D.P.C.M. cit.).
Per quanto qui interessa, inoltre, è stato previsto che “1. Ai fini dell’applicazione del presente decreto, gli ambienti abitativi di cui all’art. 2, comma 1, lettera b), della legge 26 ottobre 1995, n. 447, sono distinti nelle categorie indicate nella tabella A allegata al presente decreto.
2. Sono componenti degli edifici le partizioni orizzontali e verticali.
3. Sono servizi a funzionamento discontinuo gli ascensori, gli scarichi idraulici, i bagni, i servizi igienici e la rubinetteria” (art. 2 D.P.C.M. cit.).
La rumorosità prodotta dagli impianti tecnologici non deve superare i 35 dB(A)LAmax con costante di tempo slow per i servizi a funzionamento discontinuo.
Le contestazioni del condominio. Nel caso in esame il condominio ha impugnato l’ordinanza comunale in quanto prevedeva che al momento dell’esecuzione dei lavori sarebbe stato necessario uniformare l’intero impianto al D.P.C.M. del 1997.
Il condominio, infatti, riteneva che “non possa trovare applicazione con riferimento all’impianto in questione, poiché trattasi di impianto collaudato nel 1956, quindi anteriormente all’entrata in vigore di detta normativa (avvenuta il 20.2.1998). Contesta altresì che all’impianto sia applicabile il regolamento comunale n. 318 sulla tutela dall’inquinamento acustico, in quanto entrato in vigore 90 giorni dopo la pubblicazione all’Albo Pretorio (avvenuta in data 19.6.2006)”. E perché l’ordinanza non indica”in alcun punto quale delle diverse ipotesi previste dall’art.6 del D.P.C.M. 5.12.1997 ricorrerebbe nel caso di specie e, in ogni caso, il provvedimento non ha indicato alcunché circa la necessarie misure di contenimento del rumore e la fattibilità economica dell’intervento.
Infine sono state contestate le rilevazioni effettuate dall’ ARPA, e poste a fondamento del provvedimento.
La giurisprudenza in tema di inquinamento acustico.
Relativamente ad un caso in cui è stato contestato la rumorosità dell’ascensore al momento della chiusura delle porte e nelle ore notturne in quanto superava di “soli 0,8 Db(A) il limite massimo fissato nel secondo del D.P.C.M. 1197 ,è stato dichiarato che “il contenimento delle emissioni, di qualsiasi genere, entro i livelli massimi fissati dalle normative di tutela ambientale e nell’interesse della collettività, non costituisce circostanza sufficiente ad escludere in concreto l’intollerabilità delle correlative immissioni ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 844 c.c., mentre, per converso, il superamento i detti livelli, da assumersi quali criteri minimali di partenza ai fini del giudizio di tollerabilità o meno, deve ritenersi senz’altro illecito (tra le altre v. Cass. nn. 939/11, 5564/10, 14186/06)” (Cass. civ, sez. VI – 2, ord. 14 dicembre 2011, n. 26898).
Recentemente la Corte di Cassazione ha chiarito che “nella giurisprudenza di questa stessa Corte (cfr., ad es., Cass. n. 1151 del 2003 e Cass. n. 17281 del 2005), che i parametri fissati dalle norme speciali a tutela dell’ambiente (dirette alla protezione di esigenze della collettività, di rilevanza pubblicistica), pur potendo essere considerati come criteri minimali di partenza, al fine di stabilire l’intollerabilità delle emissioni che li eccedano, non sono necessariamente vincolanti per il giudice civile che, nello stabilire la tollerabilità o meno dei relativi effetti nell’ambito privatistico, può anche discostarsene, pervenendo al giudizio di intollerabilità, ex art. 844 c.c., delle emissioni, ancorchè (in ipotesi) contenute in quei limiti, sulla scorta di un prudente apprezzamento che consideri la particolarità della situazione concreta e dei criteri fissati dalla norma civilistica (invero posta preminentemente a tutela di situazioni soggettive privatistiche, segnatamente della proprietà), la cui valutazione, ove adeguatamente motivata (come verificatosi nella specie), costituisce accertamento di merito insindacabile in sede di legittimità” (Cass. civ. , sez. II, sent. 6 novembre 2013, n. 25019)
La decisione del Tribunale Amministrativo Regionale. Il T.A.R. adito ha dichiarato che “Ferma la correttezza dell’astratto principio, nel caso di specie, non vi è dubbio che, dagli stessi pareri del Ministero dell’Ambiente prodotti in atti, si evince che viene ritenuta l’applicabilità del D.P.C.M. 5.12.1997 anche agli impianti tecnologici installati “in sostituzione di quelli preesistenti”. La “sostituzione” di un impianto, infatti, fisiologicamente importerà che detto impianto sia soggetto alla coeva normativa, ciò tuttavia non implica che la medesima normativa sia ex se applicabile a strutture preesistenti in quanto tali; a ciò si aggiunga che (anche volendo sostenere che la sostituzione di componenti significative dell’impianto equivale a sostituzione integrale dello stesso e comporta quindi l’applicazione delle normative in questione) il regolamento comunale per la tutela dall’inquinamento acustico della città di Torino (prodotto sub. doc. 7 da parte resistente), all’art. 16, con riferimento ai rumori prodotti dagli impianti tecnologici, specifica espressamente: “i limiti di cui al d.p.c.m. 5.12.1997 si applicano: agli impianti installati successivamente all’entrata in vigore del suddetto decreto; agli impianti soggetti successivamente all’entrata in vigore del decreto a modifiche tali da implicare la potenziale variazione del livello di emissione sonore dell’impianto limitatamente alla parte oggetto di modifica; agli impianti antecedenti all’entrata in vigore, laddove ne sussista la fattibilità tecnica ed economica.”
In altre parole ha ritenuto che solo qualora si provveda ad una sostituzione integrale dell’ascensore sia necessario il rispetto delle norme introdotte nel 1997, in caso contrario si perverrebbe al risultato che, qualora siano necessari dei lavori parziali, sia di fatto sempre imposto al condominio di sostituire l’ascensore.
Nel caso in esame, quindi, l’ordinanza sarebbe risultata legittima esclusivamente se si fosse dimostrato che il superamento delle soglie imposte dal D.P.C.M. citato fossero state imputabili alle sostituzioni parziali effettuate; circostanza che però non è stata provata, infatti: “Il provvedimento impugnato, dopo aver ricordato che alcuni rilievi fonometrici svolti dall’ARPA Piemonte avevano accertato un livello sonoro superiore a quanto previsto dalla l. n. 447/95 e dal D.P.C.M. 5.12.1997, dando per assunto senza ulteriori verifiche che detto fenomeno fosse imputabile all’ascensore, ha ordinato di adottare misure di contenimento del rumore, non meglio definite.
Come contestato in ricorso, e come evidenziato in sede cautelare, il provvedimento impugnato difetta sia in quanto è stata ritenuta de plano applicabile una disciplina entrata in vigore nel 1998 ad una struttura risalente al 1956, sia in quanto manca una adeguata istruttoria circa l’effettiva riconducibilità del fenomeno a quella parte dell’impianto eventualmente soggetta alle disposizioni dell’invocato D.P.C.M.; manca poi nel provvedimento ogni indicazione circa la praticabilità di interventi di contenimento che abbiano ad oggetto l’ascensore“.
In conclusione. La valutazione della lesività del rumore di un ascensore va effettuata attraverso un’istruttoria adeguata ricordando, però, che vige il canone della “normale tollerabilità” che permetterà al giudice di ponderare in modo elastico gli interessi contrapposti.