Morosità condominiali: quando la mediazione può essere più efficace del decreto ingiuntivo?

morosità-cond.liSe un condomino è moroso e non per ritrosia nei pagamenti, ma per reale difficoltà, convocarlo davanti ad un organismo di mediazione può essere una scelta migliore del decreto ingiuntivo?

In determinati casi ed a determinate condizioni si. Vediamo perché ed i limiti a questa operazione.

Il dato normativo da cui partire è quello contenuto nel nono comma dell’art. 1129 c.c. a mente del quale:

Salvo che sia stato espressamente dispensato dall’assemblea, l’amministratore è tenuto ad agire per la riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio nel quale il credito esigibile è compreso, anche ai sensi dell’articolo 63, primo comma, delle disposizioni per l’attuazione del presente codice.

In buona sostanza se l’assemblea non dice nulla, scaduti i sei mesi dalla chiusura dell’esercizio nel quale il credito è divenuto esigibile, l’amministratore deve adire le vie legali.

Il primo limite, si ribadisce in assenza di dispense assembleari, è di ordine temporale: se si è in prossimità della scadenza del termine di cui all’art. 1129, nono comma, c.c., la procedura di mediazione diviene un di più se si può agire con ricorso per decreto ingiuntivo.

E’ bene ricordare che, ai sensi del primo comma dell’art. 63 disp. att. c.c.:

“Per la riscossione dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea, l’amministratore, senza bisogno di autorizzazione di questa, può ottenere un decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo, nonostante opposizione […]”

Se, invece, il credito pur essendo esigibile (ossia scaduto) non è liquido ossia determinato nel suo ammontare (ad esempio perché l’assemblea non ha approvato il piano di riparto o non ha approvato, ma non respinto, la spesa erogata dall’amministratore), allora la mediazione diviene condizione di procedibilità della domanda giudiziale in quanto essa con tutta probabilità sarà iniziata con citazione (cfr. art. 5 d.lgs. n. 28/2010).

Questo, come si suole dire, è il freddo dato normativo.

Ipotizziamo, però, che l’assemblea abbia dispensato l’amministratore dall’azione entro i sei mesi di cui al più volte citato nono comma dell’art. 1129 c.c. e che gli abbia concesso maggiore spazio di manovra, ad esempio, imponendo l’azione dopo un anno o un anno e mezzo.

Si supponga che l’amministratore sappia che il condomino che è sempre stato regolare nei pagamenti versi in cattive acque. In un’occasione del genere la mediazione potrebbe rappresentare una buona soluzione.

Qualcuno potrebbe dire: perché allora non mettersi d’accordo bonariamente?

Il motivo è semplice: l’accordo di conciliazione, firmato da tutte le parti e dai loro avvocati, ha valore di titolo esecutivo. In buona sostanza se ci si mette d’accordo e il condomino non rispetta i patti, l’amministratore, dopo, potrà chiedere direttamente un precetto rispetto alle somme oggetto dell’accordo.

In definitiva: la mediazione, soprattutto in quei casi in cui manca ancora l’approvazione assembleare dei conti o della singola spesa, può essere uno strumento efficace.

Fonte: Condominioweb.com

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