Caso 1
L’amministratore presenta all’assemblea un piano di ripartizione per la manutenzione delle scale utilizzando i millesimi di proprietà e non la specifica tabella prevista dall’art. 1124 c.c.: l’assise approva il riparto così sottopostole.
Caso 2
L’amministratore presenta all’assemblea un rendiconto nel quale il suo compenso è ripartito dall’assemblea secondo i millesimi di proprietà: l’assise ritiene il criterio poco equo e decide a maggioranza per una ripartizione in parti uguali.
Entrambe le deliberazioni sono invalide, tuttavia mentre la prima è solamente annullabile la secondo è nulla.
Il motivo di questa distinzione sta nell’operato dell’assemblea, che, nella prima ipotesi si limita a scegliere un criterio di riparto già esistente e sbagliato rispetto al caso concreto, mentre nel secondo caso ne crea uno ad hoc senza il consenso di tutti i condomini.
Tale differenza è fondamentale anche in sede di opposizione a decreto ingiuntivo; il giudice dell’opposizione, infatti, deve ben valutare il vizio d’invalidità per poi decidere se, trattandosi di nullità, non può entrare a far parte delle sue valutazioni oppure se, essendo la delibera nulla, può incidere sull’efficacia della decisione assembleare.
Diversamente la sua decisione, vale a dire a sentenza resa al termine del giudizio di opposizione, potrebbe essere considerata invalida in relazione a quanto disposto dagli artt. 1123, 1135 e 1137 c.c.
Questa la conclusione cui è giunta la Suprema Corte di Cassazione in un caso simile a quello appena descritto.
Secondo gli ermellini, il giudice di secondo grado, che aveva confermato la pronuncia di primo grado, ha sbagliato perché in sentenza” non spiega perché la relativa delibera condominiale debba considerarsi annullabile e non nulla, essendosi limitata a richiamare in astratto i principi in proposito formulati dalla S.C. in tema di distinzione fra delibere condominali nulle o annullabili, mentre avrebbe dovuto in concreto, procedendo all’esame del contenuto della delibera in questione, verificare se la delibera avesse stabilito o modificato i criteri di ripartizione delle spese comuni in difformità da quanto previsto dall’art. 1123 cod. civ. o dal regolamento condominiale contrattuale, ovvero se l’assemblea si fosse limitata, nell’esercizio delle attribuzioni previste dall’art. 1135, n. 2 e n. 3, cod. civ., a determinare in concreto la ripartizione delle spese medesime in difformità dai criteri di cui all’art. 1123 cod. civ.: soltanto nel primo caso, avrebbe potuto configurarsi la nullità e l’inefficacia della delibera e, quindi, la inesistenza dei presupposti per l’ingiunzione, mentre nella seconda ipotesi si sarebbe configurata l’annullabilità (Cass. 6714/2010), dovendo qui considerarsi che nel caso di delibera annullabile, anche a prescindere dal decorso del termine di cui all’art. 1137 cod. civ., nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo non potrebbe essere invocata la relativa invalidità (S. U. 2669/2009″)” (Cass. 30 novembre 2012, n. 21572).
La pronuncia è utile anche a ricordare che tra le cause di nullità della delibera assembleare v’è pure la creazione di un criterio di ripartizione non previsto dalla legge o dal regolamento.
Fonte: Condominioweb.com
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