L’amministratore di condominio uscente non consegna i modelli 770 e i modelli F24. Ecco le conseguenze
Giu04

L’amministratore di condominio uscente non consegna i modelli 770 e i modelli F24. Ecco le conseguenze

Una breve guida. La documentazione condominiale deve essere consegnata dall’amministratore cessato a mani del subentrante nella sua interezza inclusi tutti i documenti, di qualsiasi natura e provenienza, relativi alla gestione condominiale, anche se riferiti a segmenti temporali, atti e rapporti compresi nei bilanci consuntivi già approvati dall’assemblea e indipendentemente dal periodo di gestione al quale essi ineriscono, oltre a quanto abbia in cassa (Cfr.Cass. n.1851 del 2000; Trib. Messina sez. 9 gennaio 2012 n°20). Pertanto, ove si consegni tutto eccetto i modelli 770 degli anni di gestione condominiale, insieme ai carpettoni contenenti gli f24 e le fatture dei fornitori e come se non si fosse fatto nulla. Lo strumento processuale da utilizzare. Intanto, è bene precisare – per i non addetti ai lavori – che la tipologia di azione da intentare per riuscire ad ottenere la consegna dei documenti condominiali – ancora non trasmessi – da parte dell’ex mandante deve essere ben meditata. Prudenza impone di ricorrere in via ordinaria, più che in sede cautelare, al fine di evitare l’insidia di dover giustificare processualmente la sussistenza del requisito del periculum in mora (vale a dire, del pregiudizio imminente e irreparabile), e ciò ben oltre quello del fumus boni iuris (e cioè del diritto sostanziale fatto valere che va da sè). Non sempre in giudizio, infatti, è agevole dimostrare il primo dei summenzionati requisiti. Pertanto, ove si intenda veicolare processualmente una richiesta di “recupero di una parte della documentazione ancora non consegnata” tra amministratori, appare consigliabile, a secondo dei casi, ricorrere al procedimento sommario di cognizione, disciplinato dagli artt. 702 bis e ss del codice di procedura civile. (E’ punibile per appropriazione indebita la mancata restituzione della documentazione da parte dell’amministratore uscente) Si tratta di un rito introdotto con la legge nr 69/2009 che può applicarsi laddove si controverta su “fatti” che non abbisognino di particolare istruzione processuale (es. prova testimoniale e/o altre lungaggini probatorie). La sommarietà della cognizione, per come congegnata dal legislatore, starebbe soprattutto sulla celerità del procedimento. Il fatto. Un condominio palermitano ha proceduto in giudizio ex art. 702 bis e s.s. c.p.c. nei confronti dell’ex amministratore per chiedere la consegna della documentazione alla relativa gestione. Il resistente non si costituiva e rimaneva contumace. Nelle more del giudizio questi ha invece parzialmente adempiuto all’obbligo richiesto dal condominio ricorrente, consegnadno al nuovo amministratore tutti i documenti rimasti indebitamente in suo possesso ad esclusione del modello fiscale 770, relativo alle annualità pregresse, e della certificazione attestante il pagamento delle ritenute d’acconto sulle fatture emesse dai fornitori La decisione. Il Tribunale di Palermo con Ordinanza del 06 maggio 2014 accoglieva il ricorso del condominio ricorrente, precisando, nello specifico, quanto segue:...

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Condanna per chi «innaffia»? il vicino di casa
Giu03

Condanna per chi «innaffia»? il vicino di casa

Quando innaffiare diventa un reato. L’amore per le piante può costare davvero caro per chi se ne occupa senza curarsi però delle possibili conseguenze moleste di tale hobby: appena un mese fa (in condominio innaffiare le piante sul balcone diventa un reato) abbiamo ricordato come lo sgocciolamento dell’acqua verso il piano sottostante costituisca un reato (quello di cui all’art. 674 cod. pen. “Getto pericoloso di cose“), punito con l’arresto fino ad un mese o con un’ammenda di importo fino a 206,00 euro. La Cassazione, infatti, con la sentenza n. 15956 del 10/04/2014 aveva da poco ribadito come l’acqua mista a terriccio che fuoriesce dai vasi e cade sul balcone o comunque sull’abitazione del vicino costituisce senza dubbio “cosa atta ad offendere o imbrattare o molestare”, come richiesto dal codice penale perché possa sussistere la contravvenzione prevista dall’art. 674 cod. pen.. Innaffiare le piante va dunque bene, purché non si finisca per (o non lo si faccia al fine di) insozzare il pianerottolo sottostante o, peggio ancora, direttamente l’odiato vicino di casa. Ma c’è chi va oltre e per sporcare il vicino innaffia anche le piante?che non ci sono! Innaffiare va bene: purché le piante esistano. Purtroppo la vita tra vicini di casa spesso è davvero difficile ed i rapporti finiscono col tempo per deteriorarsi al punto che le giornate vengono trascorse tra un dispettuccio ed una ripicca: ogni pretesto è buono per litigare e quando non ce ne sarebbe motivo? lo si inventa. È quanto accaduto ad un signore siciliano che pur di molestare il vicino di casa (col quale ormai è da tempo in guerra) ha preso ad innaffiare anche piante che non ha, al solo fine di bagnarlo con veri e propri gavettoni d’acqua dal proprio balcone. La querela del malcapitato è stata inevitabile, così come la condanna per il maldestro inquilino, reo di aver fatto finta di innaffiare piante che si è poi dimostrato nel processo non essere presenti, con l’unico scopo di versare acqua in testa al nemico di sempre che in quel momento sostava nell’androne condominiale. Per il Tribunale infatti tale atteggiamento, ed in particolare la secchiata d’acqua riversata sul vicino di casa, integra gli estremi del reato di “Getto pericolose di cose”, poiché con tale sversamento si è imbrattato o comunque molestato un altro soggetto, proprio come previsto dall’art. 674 cod. pen.. La Cassazione conferma la condanna anche senza prove. Immediato il ricorso in Cassazione: il condannato si è strenuamente difeso sostenendo di non aver voluto colpire il vicino ma di essersi limitato ad innaffiare le proprie piante ed aggiungendo che comunque l’inzuppato vicino, che quando veniva attinto dall’acqua si trovava sotto il...

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Illecita l’apertura di un varco sul muro perimetrale condominiale
Mag30

Illecita l’apertura di un varco sul muro perimetrale condominiale

E’ da considerarsi vietata, in quanto configurante uso illecito di una cosa comune, l’apertura di una porta sul muro perimetrale di un edificio in condominio per mettere in comunicazione due unità immobiliari appartenenti allo stesso proprietario ma ubicate in due differenti edifici. Questa, in breve, la soluzione fornita dalla Seconda Sezione civile della Corte di Cassazione con la sentenza n. 10606 depositata in cancelleria il 15 maggio 2014. La pronuncia s’inserisce nel solco dei precedenti pronunciamenti del Supremo Collegio in materia e, letta anche alla luce delle novità introdotte nel codice civile dalla legge n. 220/2012, sancisce la sostanziale impossibilità di operare questi interventi, eccezion fatta per una specifica ipotesi. Muri Perimetrali Il codice civile, nello specifico l’art. 1117, non contiene alcun riferimento ai muri perimetrali di un edificio in condominio. E’ noto, a dirlo è la giurisprudenza, che l’articolo appena citato non contiene un’elencazione tassativa dei beni, servizi ed impianti che debbono considerarsi ricadenti nel regime del condominio negli edifici. In questo contesto ed in più di un’occasione, gli ermellini hanno avuto modo di affermare che “i muri perimetrali dell’edificio in condominio – i quali, anche se non hanno natura  e funzioni di muri maestri portanti, delimitano la superficie coperta, determinano la consistenza volumetrica dello edificio unitariamente considerato, proteggendolo dagli agenti termici e atmosferici, e ne delineano la sagoma architettonica – sono da considerare comuni a tutti i condomini anche nelle parti che si trovano in corrispondenza dei piani di proprietà singola ed esclusiva e quando sono collocati in posizione, avanzata o arretrata, non coincidente con il perimetro esterno dei muri perimetrali esistenti in corrispondenza degli altri piani, come normalmente si verifica per i piani attici” (Cass. 21 febbraio 1978, n. 839, in senso conf. Cass. 2 marzo 2007, n. 4978). (Opere su parti di proprietà comune vietate dell’assemblea). I muri perimetrali, quindi, sono beni comuni e come tali soggetti alle norme sul condominio, sia per quanto riguarda le spese per la loro manutenzione, sia per ciò che concerne il diritto d’uso da parte dei singoli; tale diritto è disciplinato dall’art. 1102 c.c., dettato in materia di comunione ma pacificamente applicabile anche in tema di condominio. Questa norma considera lecito qualunque uso da parte di ciascun condomino, purché esso non sia lesivo di sicurezza, stabilità e decoro dell’edificio, non muti la destinazione del bene oggetto dell’uso e non pregiudichi il pari diritto degli altri partecipanti al condominio. I regolamenti contrattuali possono contenere limiti più incisivi rispetto a quelle stabiliti dall’art. 1102 c.c. In questo contesto, la Cassazione, nella sentenza n. 10606, ha considerato illegittima l’apertura di un varco sul muro perimetrale, praticata da un condomino per mettere in...

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Assemblea di condominio, non è possibile modificare il proprio voto una volta che la votazione è stata chiusa
Mag27

Assemblea di condominio, non è possibile modificare il proprio voto una volta che la votazione è stata chiusa

In tema di esercizio del diritto di voto e ripensamento in sede di assemblea condominiale, un nostro lettore ci scrive: Volevo sapere se è possibile cambiare il voto per un punto dell’ordine del giorno già approvato a fine Marzo 2014. Mi spiego meglio: quando ho ricevuto il verbale della riunione alla quale non ho partecipato personalmente ma per delega, ho appurato che il mio delegato ha votato positivamente ad una spesa di cui potevo fare a meno. Siccome ho visto che i condomini che hanno votato contro, non sono tenuti a pagare, vorrei sapere se è possibile cambiare il mio voto inviando una comunicazione scritta all’amministratore. La questione postaci dal lettore dev’essere risolta guardando alla problematica sotto due aspetti: a) esercizio del diritto di voto in assemblea e conseguenze a seguito della deliberazione; b) esercizio del diritto di voto a mezzo delega. Diritto di voto in assemblea Ogni avente diritto a partecipare all’assemblea ha altresì diritto a esprimere il proprio voto rispetto all’argomento posto in discussione. Uniche eccezioni: a) l’esistenza di un palese conflitto d’interessi tra singolo condomino e condominio; b) il caso del conduttore che a differenza dei casi di votazione sul riscaldamento centralizzato ha “diritto di intervenire, senza diritto di voto, sulle delibere relative alla modificazione degli altri servizi comuni” (art. 10 l. n. 392/78). Il diritto di voto si esercita palesanod la propria posizione rispetto allo specifico oggetto della discussione. Tre le possibili soluzioni: a) favorevole; b) dissenziente; c) astenuto. Il voto in assemblea dev’essere palese altrimenti sarebbe impossibile verificare i quorum deliberativi necessari per quella specifica decisione. Una volta che s’è votato ed è assunta la deliberazione (della votazione e della deliberazione bisogna dare conto nel verbale, cfr. artt. 1130 n.6 c.c. e 1136, settimo comma, c.c.), il voto non può più essere modificato. L’unica possibilità è insistere chiedendo la convocazione di una nuova assemblea per modificare il proprio voto. La richiesta, per essere vincolante, dev’essere formulata ai sensi dell’art. 66 disp. att. c.c. Voto espresso per delega La situazione non è molto diversa per il caso di voto espresso per mezzo di un delegato. Con lo strumento della delega (che dev’essere dimostrata per iscritto, cfr. art. 67 disp. att. c.c.), il condomino conferisce ad altra persona il potere di rappresentarlo in assemblea e di votare per suo nome e conto. Salvo il caso di situazioni di conflitto d’interesse tra delegante e delegato o comunque tra delegato e condominio (cfr. Cass. 18192/09), il voto espresso per delega vale allo stesso modo di quello espresso personalmente. Di più: solitamente con la delega a partecipare, se non si danno indicazioni di voto, si ratifica preventivamente l’operato del...

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E’ reato trasformare un vano tecnico in abitazione?
Mag22

E’ reato trasformare un vano tecnico in abitazione?

I reati edilizi da trasformazione: quando la fame di spazio è insaziabile. Sovente capita che agli affamati di spazio venga l’infelice idea di sfruttare ogni centimetro cubo dell’immobile di proprietà per ricavarne ulteriori porzioni abitabili o, addirittura, vere e proprie abitazioni: avviene così pertanto che le cantine ed i garage si trasformino in uffici o in case abitabili, che le terrazze vengano coperte e murate, o molto spesso, come abbiamo già avuto modo di analizzare, (la chiusura con vetrate del balcone costituisce abusivismo edilizio?), che i balconi siano finestrati e diventino delle vere e proprie verande: tutte queste opere, per essere lecitamente eseguite, devono essere autorizzate dalle competenti autorità amministrative (Comuni innanzitutto, ma spesso anche Regioni). Una zona molto sensibile al fascino dell’abusivismo edilizio è certamente il sottotetto, quale fonte di ispirazione per tutti coloro che vi abbino accesso esclusivo o che a ciò aspirino: nello scorso mese di marzo la Cassazione si era occupata di tale porzione immobiliare (vivere nel sottotetto non si può), ricordando come costituisca reato l’adibirla ad abitazione senza permesso di costruire. Tale situazione è però evidentemente molto più frequente di quanto già non sembri tant’è vero che a distanza di appena qualche settimana i Giudici di Piazza Cavour tornano sull’argomento con una nuova pronuncia che risolve un caso molto simile a quello deciso a marzo. Accorpamento del sottotetto: una sola opera, tanti reati. Ed infatti con la sentenza n. 18709 del 06/05/2014, la III Sezione Penale del Supremo Collegio si pronuncia nuovamente su un caso di chiusura di un sottotetto effettuata per rendere abitabile quello che in origine non lo era affatto. Proprietario e direttore dei lavori vengono per tali opere rinviati a giudizio e condannati in primo e secondo grado per vari reati, tutti previsti dal T.U. dell’Edilizia (D.P.R. 380/2001), che vanno da quello previsto all’art. art. 64 (Progettazione, direzione, esecuzione, responsabilità in opere di conglomerato cementizio armato) a quello indicato dall’art. 65 (Denuncia dei lavori di realizzazione e relazione a struttura ultimata di opere di conglomerato cementizio armato), passando attraverso la previsione degli artt. 71 e 72 (Direzione dei lavori abusivi e omessa denuncia di opere in conglomerato cementizio), il tutto naturalmente non dimenticando il più importante, ossia il reato previsto e punito dall’art. 44 lett. B del T.U., che prevede l’arresto fino a 2 anni e l’ammenda sino ad oltre 100.000 euro per l’esecuzione di lavori in assenza del permesso di costruire. Come si vede, pertanto, con una sola azione si possono commettere molti reati, tutti concorrenti tra loro, con notevole aumento della pena finale (sia detentiva che pecuniaria) per cui è davvero il caso di pensarci bene prima di commettere...

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Anche il condomino del primo piano paga l’ascensore
Mag21

Anche il condomino del primo piano paga l’ascensore

Il fatto. L’inquilino di un edificio impugna una delibera assembleare deducendo che, contrariamente a quanto stabilito in una precedente delibera assembleare che aveva concesso ad alcuni condomini residenti al primo piano ed all’attore l’uso dell’ascensore, con la delibera impugnata l’assemblea aveva concesso ad un altro condomino residente al primo piano la possibilità di utilizzare l’ascensore. Nell’impugnazione della delibera l’attore sosteneva che il condominio, negandogli il diritto di utilizzare l’ascensore, violava un accordo transattivo risalente a svariati anni prima (1983) secondo il quale l’attore avrebbe potuto utilizzare l’ascensore con esonero dalle spese di manutenzione ordinarie e straordinarie e dalle spese di esercizio dello stesso. In base a tale accordo transattivo l’attore contestava, inoltre, il bilancio consuntivo e di previsione rispettivamente dell’anno in corso e di quello successivo che ponevano a suo carico, pro-quota, le spese di manutenzione ordinaria e straordinaria dell’ascensore. Il condominio, tramite il suo amministratore, si costituiva in giudizio precisando che l’attore era obbligato quantomeno al pagamento delle spese di esercizio dato che la precedente delibera assembleare, che poneva a carico dei condomini le spese per la manutenzione dell’ascensore, non era stata impugnata. I motivi della decisione. In primo luogo il condominio, in corso di causa ha revocato le delibere che impedivano all’attore l’uso dell’ascensore adeguandosi, in tal modo, all’accordo transattivo menzionato dall’attore che lo autorizzava ad utilizzare l’ascensore. Dunque dall’adeguamento del Condominio all’accordo transattivo menzionato dall’attore discendono, a parere del Giudice onorario del Tribunale di Perugia, una serie di effetti primo fra tutti, l’obbligo dell’attore di contribuire alle spese vive per garantire il funzionamento dell’ascensore. A questa conclusione il Giudice giunge anche analizzando il contenuto dell’accordo transattivo, che secondo l’attore avrebbe dovuto garantirgli l’esonero dalle spese di manutenzione ordinaria e straordinaria per la gestione dell’ascensore e dopo la sua morte tale diritto doveva essere assicurato anche al coniuge ed ai suoi discendenti diretti Il Giudice, invece, ha rilevato che l’accordo fa riferimento solo alle spese di manutenzione dell’ascensore esonerando dalle stesse l’attore, ma nulla dispone in merito alle spese relative al funzionamento dell’impianto. Il silenzio dell’accordo in merito a quest’ultimo aspetto genera solo una conclusione e cioè che l’attore non possa considerarsi esonerati dalla partecipazione, pro-quota, alle spese necessarie al funzionamento dell’impianto. Facendo leva su questa semplice constatazione il Tribunale di Perugia, con sentenza del 28 febbraio 2014, conclude con la condanna dell’attore al pagamento, pro-quota, delle spese di funzionamento dell’ascensore anche perché la delibera che ha disposto anche suo carico il pagamento di tali spese, malgrado adottata ad un’assemblea alla quale egli era presente, non è stata impugnata e tale circostanza gli ha impedito di fare ricorso a quanto sancito, all’epoca dei fatti, dal secondo comma...

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