Riscaldamento centralizzato: Le spese per il condomino che si distacca

Con la sentenza Cassazione Civile, sez. II, sentenza 30/04/2014 n° 9526 la Suprema Corte torna a occuparsi del distacco dall’impianto centralizzato di riscaldamento e della misura del contributo alle spese di esercizio da parte del soggetto che rinuncia all’impianto condominiale.

La questione è già stata ampiamente affrontata, per stabilire quali oneri possano essere addebitati al condomino che si è distaccato dall’impianto condominiale.

Un tema ampiamente dibattuto che ha visto la S.C. assumere posizioni ormai consolidatesi nel tempo. Secondo i più recenti e costanti orientamenti “Il condomino può legittimamente rinunziare all’uso del riscaldamento centralizzato e distaccare le diramazioni della sua unità immobiliare dall’impianto termico comune, senza necessità di autorizzazione od approvazione degli altri condòmini, e, fermo il suo obbligo di pagamento delle spese per la conservazione dell’impianto, è tenuto a partecipare a quelle di gestione, se e nei limiti in cui il distacco non si risolve in una diminuzione degli oneri del servizio di cui continuano a godere gli altri condòmini” (Cass. civ., sez. VI, sentenza n. 5331/2012).

Conformandosi a tale orientamento, con la sentenza n. 9526 del 30 aprile 2014, la Suprema Corte pone l’accento sulle novità in materia introdotte con la L. 220/2012 evidenziando che “[…], un orientamento giurisprudenziale che ha assunto, adesso, veste di diritto positivo in ragione del quarto comma del nuovo art. 1118 c.c. […] il quale, ha, espressamente, ammesso la possibilità del singolo condomino di distaccarsi dall’impianto centralizzato di riscaldamento o di raffreddamento qualora dimostri che dal distacco non derivino notevoli squilibri di funzionamento od aggravi di spesa per gli altri condòmini”.

“In altri termini, e in sintesi, […], continuano ad essere obbligati a partecipare alle spese di consumo del carburante o di esercizio […] perché se il costo di esercizio dell’impianto (rappresentato anche dall’acquisto di carburante necessario per l’esercizio dell’impianto) dopo il distacco non è diminuito e se la quota non sarebbe posta a carico del condomino distaccante, gli altri condòmini sarebbero aggravati nella loro posizione dovendo farsi carico anche della quota spettante al condomino distaccato”.

Premesso che il pronunciamento è riferito ad un caso ante L. 220/2012, a parere di chi scrive, appare improprio il riferimento ai costi per l’acquisto del combustibile, non potendosi fare riferimento in termini di aggravio o risparmio ai costi sostenuti per il combustibile, poiché i costi di esercizio di una centrale termica per i quali concorrono diversi elementi, tra cui anche il combustibile, sono annualmente vincolati a fattori esterni non dipendenti dalla volontà dei soggetti utilizzatori del servizio.

L’andamento più o meno rigido di ogni stagione invernale va a incidere in maniera sostanziale sui costi di esercizio e gestione dell’impianto e, pertanto, l’aggravio o un ipotetico risparmio in conseguenza di un distacco non può essere ricondotto a una semplice operazione aritmetica.

Altrettanto poco calzante il riferimento al novellato art. 1118 c.c. che, nonostante sia stato salutato favorevolmente dai primi commentatori, pur esplicitando il diritto del condomino al distacco dall’impianto di riscaldamento condominiale, nella realtà pone limiti difficilmente superabili perché il distacco possa concretizzarsi.

Al contrario della normativa previgente quando, sulla base dei principi giurisprudenziali della S.C., il condomino poteva staccarsi dall’impianto pur restando tenuto a concorrere alle spese di conservazione ed a quelle di gestione “se e nei limiti in cui il distacco non si risolve in una diminuzione degli oneri del servizio di cui continuano a godere gli altri condòmini”, il novellato art. 1118 non recepisce in toto la posizione giurisprudenziale e, quindi, esclude la possibilità per il condomino di distaccarsi dall’impianto condominiale se non è in grado di fornire prova dell’assenza delle condizioni che, se presenti anche singolarmente, determinano l’impossibilità del distacco.

La novellata norma contenuta nell’art. 1118 c.c. anziché rispondere alle aspettative di quanti l’hanno salutata con favore, appare al contrario foriera di nuove dispute e contenziosi in ambito condominiale.

Il Giudice adito non potrà che limitarsi al vaglio dell’inesistenza o meno delle condizioni che ne impediscono il distacco, senza poter prevedere, contrariamente alle posizioni giurisprudenziali ante legge di riforma della disciplina in materia di condominio, un obbligo di contribuzione alle spese di gestione per il condomino distaccante.

Giova anche sottolineare come il condomino distaccante, prima di operare materialmente il distacco, sia tenuto a formalizzare la sua intenzione poiché ex art. 1122 c.c. “[…] il condomino non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni […]”. “In ogni caso è data preventiva notizia all’amministratore che ne riferisce all’assemblea”.

E’ fuor di dubbio che l’intervento sull’impianto di riscaldamento possa recare un pregiudizio “notevole o trascurabile” e da ciò l’esigenza della preventiva informazione al condominio.

In considerazione del fatto che il novellato art. 1118 c.c. prevede che il condomino che intende distaccarsi deve fornire prova che “dal suo distacco non derivino notevoli squilibri o aggravi di spesa per gli altri condòmini”, la preventiva informazione dovrà necessariamente essere corredata dalla documentazione tecnica attraverso la quale egli possa dare prova dell’assenza di “notevoli squilibri” e di “assenza di aggravi” per i condomini che continueranno a servirsi dell’impianto condominiale.

Tuttavia, poiché il quarto comma del novellato art. 1118 c.c. non è rientrante tra le norme inderogabili richiamate all’art. 1138 c.c., non è escluso che i partecipanti al condominio possano in via convenzionale concludere accordi che consentano comunque il distacco, anche in presenza di aggravi, addivenendo anche alla determinazione della partecipazione del distaccante alle spese di gestione.

A parere dello scrivente, tale possibilità resterà circoscritta alla determinazione delle parti, mentre sarà da escludersi che ciò possa essere oggetto di un provvedimento del giudice.

Quanto alla sentenza che si annota, per risultare più aderente ad una corretta applicazione del principio giurisprudenziale, senza l’improvvido riferimento alla novella introdotta dalla L. 220/2012, la S.C. avrebbe potuto individuare elementi utili nella norma UNI-CTI n. 10200:2013, peraltro richiamata, nella precedente versione del 2005, anche nel DPR n. 569/2009 in materia di contabilizzazione e ripartizione delle spese di riscaldamento, potendosi con essa quantificare con esattezza i costi di gestione per i quali, in vigenza della disciplina ante  L. 220/2012, sarebbero stati chiamati a partecipare i distaccati, al fine di non determinare aggravi per i condòmini ancora allacciati all’impianto centralizzato condominiale.

Per la norma UNI alla spesa per l’impianto centralizzato concorrono due componenti: 1) il consumo volontario; 2) il consumo involontario.  E’ su quest’ultima componente che dovrebbe focalizzarsi l’attenzione per la determinazione di quei costi, non dipendenti dalla volontà del singolo condomino che, in caso di distacco, determinerebbe un aggravio per i restanti condòmini allacciati. A titolo esemplificativo e non esaustivo possiamo ricondurre a questa voce le perdite al camino e le dispersioni termiche della rete di distribuzione alle singole unità immobiliari.

Un richiamo alla suddivisione delle spese di riscaldamento in una “quota fissa” da deliberarsi in assemblea e in una “quota a consumo”, si rinviene anche nel Decreto della Giunta Provinciale di Bolzano n. 573 del 15 aprile 2013 che al n. 5 dell’Allegato “A”, in vigore da gennaio 2015, impone da quella data la contabilizzazione dei costi per il riscaldamento e il raffrescamento secondo “una quota fissa per coprire le spese fisse per la gestione dell’impianto, determinata in sede di assemblea condominiale, ripartita tra le utenze in funzione dei millesimi” e “una quota variabile, ripartita tra le utenze in base al consumo individuale determinato dagli strumenti”. Definizioni di “quota fissa” e “quota variabile” mutuate dalla norma UNI 10200:2005 che oggi, nella versione più recente sono meglio definite in “consumo involontario” e “consumo volontario”.

Da ciò appare evidente come qualsiasi distacco dall’impianto centralizzato comporta un aggravio di spesa per gli altri condòmini.

Pertanto, venendo meno una delle due condizioni poste dal legislatore perché sia ammissibile il distacco dall’impianto centralizzato, la possibilità di distaccarsi appare scarsamente praticabile.

Infatti, se da un verso è riconosciuto che possa verificarsi un qualche squilibrio che, finché non sarà notevole, dovrà essere sopportato dal resto della compagine condominiale, dall’altro, qualunque aggravio, a prescindere dalla sua entità, farebbe venir meno le condizioni che consentono il distacco.

Il principio contenuto nella sentenza in commento, circa gli obblighi di contribuzione anche sulle spese di esercizio e gestione, appare superato proprio per effetto del novellato art. 1118 c.c., che tale obbligo/possibilità non contempla, e con le riserve espresse in merito ad un’individuazione sic et simpliciter meramente aritmetica dei costi di esercizio che si vorrebbe fossero da addebitare comunque al condomino distaccatosi.

Oggi colui che intenda distaccarsi dovrà, in presenza di “aggravi” per i restanti condòmini, rinunciare dal porre in essere il distacco onde evitare che possa essere chiamato al ripristino dello status quo ante.

In via residuale, dovrà preventivamente manifestare la disponibilità a concorrere alla voce di spesa “involontaria” legata a tutte le unità immobiliari, a prescindere dall’uso che in concreto possano aver fatto o possano continuare a fare i condòmini, giungendo ad un accordo in via convenzionale con tutte le altre parti.

Né l’interessato potrà eccepire che ex art. 1118 c.c. “il distaccato è tenuto a concorrere al pagamento delle sole spese per la manutenzione straordinaria dell’impianto e per la sua conservazione e messa a norma”, poiché tale possibilità è prevista solo per quei soggetti che abbiano potuto distaccarsi, dopo aver superato le forche caudine, per essere riusciti a provare che dal loro distacco “non derivano notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini”.

Per altro, già nei fabbricati con impianto termico centralizzato a distribuzione orizzontale, i condòmini possono gestire autonomamente i consumi interni alla loro unità immobiliare, operando de facto un distacco dall’impianto e limitandosi a concorrere ai costi ascrivibili ai consumi “involontari”.

Principio questo che rinveniamo in Cass. sez. II, n. 11857/2011 che, accogliendo il ricorso avverso la sentenza del Tribunale di merito, esclude il configurarsi di uno squilibrio termico nella variazione di temperatura all’interno degli appartamenti prossimi a quelli distaccati. […], in quanto nell’ambito di un condominio ogni unità immobiliare confina con almeno un’altra unità immobiliare, per cui il distacco dall’impianto centralizzato da parte di uno dei condòmini provocherebbe sempre quel tipo di squilibrio termico […], anche in considerazione che la stessa situazione, senza che il condominio potesse lamentarsi per lo squilibrio termico conseguente, si sarebbe potuta verificare ove il S. avesse chiuso i propri radiatori.

Situazione questa che rinveniamo sovente in quei condomìni a destinazione mista residenziale/periodica, ove i condòmini che utilizzano la loro unità immobiliare solo per limitati periodi nell’arco dell’anno, comunque partecipano ai costi “involontari” in proporzione alla loro caratura millesimale.

Per analogia identico trattamento potrebbe essere riservato al condomino che intenda distaccarsi, se frutto del citato accordo convenzionale.

Appare opportuno che la quota di consumo involontario dell’intero edificio in condominio venga quantificata attraverso una perizia termotecnica, in modo che la relativa quota spettante al condomino che intenda distaccarsi possa essere ragguagliata a un “X”% rispetto ai costi complessivi annuali dell’impianto di riscaldamento centralizzato.

Una valutazione di tal fatta consentirebbe di poter rapportare in termini percentuali quelli che sono i costi involontari, con un margine di errore molto contenuto e ciò a prescindere dai fattori esterni legati all’andamento climatico delle stagioni invernali, diversamente da quanto richiamato dalla Suprema Corte che ipotizzerebbe la necessità di un risparmio in termini di costi dopo il distacco da parte di un condomino.

L’adozione da parte dell’assemblea condominiale di rapporti percentuali dei consumi involontari, senza il supporto della perizia tecnica, esporrebbe la delibera alla contestazione da parte del soggetto distaccante che potrebbe eccepire il vizio del deliberato dell’assemblea per eccesso di potere.

Al contrario, la delibera adottata sulla base della perizia termotecnica sarebbe immune da vizi e tale da mettere al riparo da contestazioni da parte del condomino distaccante e renderebbe meno irto di ostacoli il percorso per giungere ad un accordo.

Traendo spunto dalla sentenza in commento, appare evidente come la problematica relativa al distacco dall’impianto centralizzato di riscaldamento e raffrescamento condominiale resti di piena attualità ed anche l’intervento del legislatore, con le modifiche apportate all’art. 1118 c.c. e la poco felice formulazione della norma, non contribuisce a dirimere il contenzioso in materia e, al contrario, le frizioni all’interno della compagine condominiale sono destinate ad ampliarsi maggiormente.

Allo stesso modo va sottolineato che la possibilità concessa al singolo di rinunciare all’impianto comune si pone in contrasto con quel complesso di norme emanate, anche quale recepimento di Direttive della U.E., dirette al raggiungimento di obiettivi di risparmio energetico e di riduzione delle emissioni di CO2 (Cfr. D.Lgs. n. 192/2005, art. 1, n.1; D.Lgs. n. 311/2006, all. A, n. 34; D.P.R. n. 59/2009).

Ciò traspare anche dai lavori preparatori della II^ Commissione permanente Giustizia del Senato – resoconto del 11 luglio 2012, pag. 118: “[…] rilevando come il distacco dall’impianto di riscaldamento centralizzato, per come è formulata la disposizione, contrasta con le direttive europee sull’efficienza energetica e l’emissione di anidride carbonica”.

Solo parzialmente più condivisibile l’emendamento all’art. 1118 c.c., che si rinviene nel resoconto citato, ma non inserito nel testo definitivo della L. 220/2012,  che limitava il distacco in presenza di oggettive situazioni: “Il condomino, ove venga oggettivamente constatato che il proprio immobile non gode della normale erogazione di calore, a causa di problemi tecnici dell’impianto condominiale, e questi, nell’arco di un’intera stagione di riscaldamento, non sono risolti dal condominio, può rinunciare all’utilizzo dell’impianto centralizzato[…]”.

Lascia perplessi il fatto che beffardamente, pur consentendo(obbligando) il distacco per oggettive carenze dell’impianto non sanabili dal condominio, il distaccato resterebbe obbligato a partecipare ai costi di conservazione e manutenzione di un impianto non in grado di erogare calore sufficiente nella sua unità immobiliare.

La materia in discussione, suscettibile di far sorgere ulteriore contenzioso, meriterebbe una rivisitazione da parte del legislatore.

Il D.Lgs. n. 102/2014 (G.U. n. 165 del 18/07/2014) approvato di recente dal Consiglio dei Ministri, che intende stabilire misure dirette alla promozione ed al miglioramento dell’efficienza energetica, avrebbe potuto essere occasione propizia per apportare le opportune modifiche al testo dell’art. 1118 c.c., con il parziale recepimento di quell’emendamento che, se introdotto, potrebbe consentire di limitare la possibilità della rinuncia all’impianto di riscaldamento centralizzato solo ai casi in cui ci si trovi in presenza di oggettive carenze dell’impianto condominiale che non consentano ad una unità immobiliare di poter godere della normale erogazione di calore e non sia possibile intervenire sull’impianto per ovviare alle disfunzioni lamentate. Ovviamente con le opportune modifiche che evitino al distaccato(obbligato) di aggiungere al danno anche la beffa.

Modifica questa che risulterebbe più rispondente alle esigenze di contenimento dei consumi energetici e di riduzione delle emissioni di CO2, allineandosi ai provvedimenti di legge in materia di risparmio energetico.

Fonte: http://www.altalex.com

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