Rapporti di vicinato esasperati, dire di vendere la casa a degli zingari non integra il reato di minaccia

Propone ricorso per cassazione T*** avverso la sentenza del Tribunale di Lanciano in data 3 marzo 2011, confermativa di quella di primo grado, del Giudice di pace, il quale aveva pronunciato condanna in ordine al concorso nel reato di minacce – così diversamente qualificato il fatto contestato originariamente a titolo di ingiurie – in danno di D*** , reato consumato il (***).

L’imputato è stato ritenuto responsabile di avere prospettato un male ingiusto al D*** dicendogli che gli zingari ai quali intendeva vendere il proprio appartamento avrebbero reagito con atti di violenza fisica se avesse continuato a bussare con la scopa per i rumori di cui si lamentava. Deduce:

1) la erronea applicazione della legge penale.

Nel caso di specie, le frasi di cui all’imputazione erano state pronunciate all’esito di una riunione condominiale e nell’ambito di rapporti di vicinato esasperati dal fatto che D*** , abitando nell’appartamento sottostante a quello dell’imputato, continuamente protestava per i presunti rumori che il coinquilino produceva.

Poteva dirsi che il comportamento dell’imputato non consistesse nella prospettazione di un male ingiusto ma di un evento paradossale quale quello della vendita della propria casa a degli zingari, per non sottostare al comportamento molesto del vicino.

Difettava, dunque, la capacità, della frase proferita, di intimidire l’interlocutore, ossia di restringerne la libertà psichica, apparendo la stessa, più che altro, la ostentazione di un comportamento provocatorio finalizzato a prevenire un’azione illecita o inopportuna dell’altro (Sez. 5, Sentenza n. 8131 del 15/02/2007 Ud. (dep. 27/02/2007); Rv. 236543; Sez. 5, Sentenza n. 7355 del 23/05/1984 Ud. (dep. 24/09/1984) Rv. 165667).

Ed anzi difesa sottolinea altresì che la giurisprudenza esclude la sussistenza del reato quando il male non sia prospettato come dipendente dalla volontà dell’agente, essendo, come nella specie, la rappresentazione di una legittima protesta in relazione alla condotta del condomino;

2) il vizio della motivazione.

Il giudice dell’appello ha ravvisato il reato nella circostanza che l’imputato ha rappresentato al proprio interlocutore l’esercizio di una facoltà legittima (la vendita della propria casa), tuttavia allo scopo di danneggiare altri.

In realtà, il danno che sarebbe derivato dall’azione della vendita, avrebbe attinto, prim’ancora del vicino, l’imputato stesso: un’evenienza capace di far emergere senza ombra di dubbio che lo scopo dell’agente non era quello di rappresentare un male ingiusto alla persona offesa, ma di far cessare le sue proteste. Il ricorso è fondato, come sostenuto anche dal Procuratore Generale di udienza.

La giurisprudenza di questa Corte, richiamata ed applicata nella sentenza impugnata, ha ripetutamente osservato che, ai fini della configurabilità del reato di minaccia, si richiede la prospettazione di un male futuro ed ingiusto – la cui verificazione dipende dalla volontà dell’agente – che può derivare anche dall’esercizio di una facoltà legittima la quale, tuttavia, sia utilizzata per scopi diversi da quelli per cui è tipicamente preordinata dalla legge; non è, peraltro, necessario che il bene tutelato dalla norma incriminatrice sia realmente leso, essendo sufficiente che il male prospettato possa incutere timore nel soggetto passivo, menomandone la sfera della libertà morale (Sez. 5, Sentenza n. 4633 del 18/12/2003 Ud. (dep. 06/02/2004) Rv. 228064).

Tanto premesso, appare evidente la mancata integrazione, nel caso di specie, in primo luogo della prospettazione di un male ingiusto la cui verificazione dipendesse dalla volontà dell’agente: il fatto ingiusto rappresentato alla persona offesa, invero, risulta connesso ad una iniziativa del tutto ipotetica di soggetti terzi, che sarebbero stati “legittimati” da una iniziativa ugualmente futura ed incerta (la vendita dell’appartamento a zingari) da parte dell’imputato.

In più, appare decisiva la applicabilità al caso di specie del principio, condiviso dalla giurisprudenza di legittimità ed evocato correttamente dalla difesa, secondo cui non integra comunque il delitto di minaccia la condotta di colui che tenga un comportamento pure apparentemente integrante la fattispecie in esame, non già al fine di restringere la libertà psichica del minacciato, bensì al fine di prevenirne un’azione illecita (nel caso di specie, molestie), rappresentandogli tempestivamente la legittima reazione che il suo comportamento avrebbe determinato (Sez. 5, Sentenza n. 8131 del 15/02/2007 Ud. (dep. 27/02/2007) Rv. 236543).

Il fatto di cui alla imputazione deve, in conclusione ritenersi privo di concreta valenza minacciosa nei confronti del denunciante.

Fonte: Condominioweb.com

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