Impugnazioni delle delibere dell’assemblea e applicazioni giurisprudenziali alla luce della riforma

impugnazioni-delibereIl “nuovo” articolo.

Contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio ogni condomino assente, dissenziente o astenuto può adire l’autorità giudiziaria chiedendone l’annullamento nel termine perentorio di 30 giorni, decorrente dalla data della deliberazione per i dissenzienti o astenuti e dalla data di comunicazione della deliberazione per gli assenti. Così dispone il nuovo art. 1137 c.c., interamente sostituito dalla legge di riforma del condominio n. 220 del 2012.

La mancata impugnazione della delibera entro i termini sopra indicati determina l’inoppugnabilità della stessa, che diviene definitivamente efficace nei confronti di tutti i condomini. Quanto innanzi, peraltro, vale limitatamente ai vizi che rendono annullabile la deliberazione. In presenza di difetti ben più gravi, che comportano la nullità della determinazione assembleare, la relativa azione non soggiace a limiti di tempo e può essere proposta da chiunque vi abbia interesse anche oltre il termine di trenta giorni.

La legittimazione passiva nei giudizi di impugnazione delle delibere condominiali fa capo, di norma, all’amministratore, che, in qualità di rappresentante del condominio, può essere convenuto in giudizio per qualunque azione concernente le parti comuni dell’edificio (art. 1131 c.c.). Concorrente con la legittimazione dell’amministratore è quella di tutti i condomini, che peraltro possono sempre intervenire in giudizio per tutelare un interesse proprio o a sostegno della posizione difensiva del condominio (ad adiuvandum).

Il pagamento delle spese processuali segue le regole generali del processo civile e, in particolare, il principio della soccombenza. Il giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell’altra parte e ne liquida l’ammontare insieme con gli onorari di difesa (art. 91 c.p.c.). Rimane ferma la facoltà del giudice di compensare per intero o parzialmente le spese, se vi è soccombenza reciproca o concorrono altre gravi ed eccezionali ragioni, da indicare esplicitamente nella motivazione della sentenza.

Con particolare riferimento agli eredi beneficiati, ai tutori, ai curatori e, in generale, a coloro che (come l’amministratore di condominio) rappresentano o assistono la parte in giudizio, essi possono essere condannati personalmente, per motivi gravi che il giudice deve specificare nella sentenza, alle spese dell’intero processo o di singoli atti, anche in solido con la parte rappresentata o assistita (art. 94 c.p.c.).

Applicazioni giurisprudenziali recenti. Le regole anzidette trovano svariate applicazioni nelle aule giudiziarie. Segnaliamo, tra le altre, una recentissima pronuncia della Corte di Appello di Perugia (sentenza n. 81 del 30 agosto 2013) che, nell’accogliere il ricorso proposto dagli eredi di un amministratore avverso la condanna alle spese di giudizio a carico del padre, ha affermato che l’amministratore non può essere condannato a pagare le spese processuali nel giudizio in cui si chiede l’annullamento della delibera adottata dall’assemblea dopo la sua revoca dall’incarico.

La sentenza va contestualizzata nell’ambito della particolare fattispecie presa in esame, relativa all’impugnazione di una delibera adottata dall’assemblea di condominio convocata dall’amministratore subito dopo la revoca dalle sue funzioni. Per questo motivo alcuni condomini citavano in giudizio l’ex-amministratore, ottenendo in primo grado una sentenza di nullità della delibera. Questi proponeva appello avverso la condanna alle spese processuali, eccependo il proprio difetto legittimazione passiva in giudizio: a suo dire, l’azione era “improponibile” nei suoi confronti, non ricoprendo egli la carica di amministratore all’epoca della deliberazione impugnata.

La Corte territoriale ha accolto il ricorso seguendo, tuttavia, un inter motivazione diverso da quello proposto dall’appellante.

A parere dei giudici d’appello, infatti, la sentenza di primo grado va interpretata non nel senso della improponibilità della domanda, bensì nel senso che l’azione promossa dai condomini era diretta esclusivamente ad accertare l’invalidità della delibera e non anche l’intervenuta decadenza dell’amministratore. L’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui la dichiarazione di detta decadenza era stata richiesta dai condomini solo in via “strumentale” rispetto alla pronuncia sull’impugnativa della delibera assembleare è da intendersi nel senso che si tratta di un accertamento incidentale rispetto alla domanda principale, diretta all’impugnativa della delibera. Tanto sembrerebbe confermato dal fatto che la sentenza in questione dispone solo l’annullamento della delibera, mentre nulla dispone sulla decadenza dell’amministratore o su un’eventuale improponibilità della domanda relativa a detta decadenza.

Secondo la Corte, dunque, l’oggetto della sentenza impugnata sarebbe l’impugnazione della delibera, mentre la questione della decadenza dell’amministratore rimane in secondo piano ed è stata esaminata solo in via incidentale. In relazione ad essa, pertanto, appare errata la condanna alle spese processuali dell’ex-amministratore.

Fonte: Condominioweb.com

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