Il cortile resta al condominio se ha un’attitudine funzionale al servizio di tutti

In tema di condominio negli edifici, per tutelare la proprietà di un bene appartenente a quelli indicati dall’art. 1117 c.c. non è necessario che il condominio dimostri con il rigore richiesto per la rivendicazione la comproprietà del medesimo, essendo sufficiente, per presumerne la natura condominiale, che esso abbia l’attitudine funzionale al servizio o al godimento collettivo, e cioè sia collegato, strumentalmente, materialmente o funzionalmente con le unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condomini, in rapporto con queste da accessorio a principale, mentre spetta al condomino che ne afferma la proprietà esclusiva darne la prova”.

Ancora: In tema di condominio negli edifici, per stabilire se un’unità immobiliare è comune, ai sensi dell’art. 1117, n. 2 cod. civ.,…- omissis…-, il giudice del merito deve accertare se, all’atto della costituzione del condominio, come conseguenza dell’alienazione dei singoli appartamenti da parte dell’originario proprietario dell’intero fabbricato, vi è stata tale destinazione, espressamente o di fatto, dovendosi altrimenti escludere la proprietà comune dei condomini su di essa. Né per vincere, in base al titolo, la presunzione legale di proprietà comune delle parti dell’edificio condominiale indicate nell’art. 1117, n.2, cod. civ., sono sufficienti il frazionamento – accatastamento e la relativa trascrizione, eseguiti a domanda del venditore costruttore, trattandosi di atto unilaterale di per sé inidoneo a sottrarre il bene alla comunione condominiale, e dovendosi invece riconoscere tale effetto solo al contratto di compravendita, in cui la previa delimitazione unilaterale dell’oggetto del trasferimento sia stata recepita nel contenuto negoziale per concorde volontà dei contraenti

Nella sentenza si legge:

Il condominio sito in (***) ed i condomini E..L. ; R..L. ; L.N. ; Ro..Lo. ; M..L. , V..B. ; A..I. ed Ad..Ie. , esposero: che tra i beni comuni doveva ritenersi compreso il cortile dello stabile, giusta la previsione del regolamento condominiale contrattuale, trascritto nel gennaio 1972 e richiamato nei singoli atti di acquisto; che nel maggio 1973 il costruttore R. aveva venduto a tale E.L. un piano terraneo a confine con la “residua parte del cortile dal quale era delimitata da una cancellata”; che successivamente l’E. aveva trasferito alla snc A&C di *** la stessa consistenza, menzionando genericamente il cortile tra i confini; che nell’ottobre del 1997 con atto di rettifica del rogito nel 1973 M..E. , in qualità di tutore dell’interdetto E.L. , in uno con la snc A&C, avevano precisato che oggetto della compravendita era anche “la parte di cortile scoperta e di proprietà esclusiva” del venditore; che nell’ottobre 1997 la snc PI.BE di ***, in allora conduttrice del detto locale, aveva chiuso con un cancello la parte di cortile antistante il terraneo, impedendo l’accesso agli altri condonimi. Su tali premesse citarono innanzi al Tribunale di Napoli dapprima la snc A&C e poi la snc PI.BE — che nel frattempo, con rogito del febbraio 2000 aveva acquistato il locale terraneo -, affinché fosse accertato e dichiarato che il cortile in questione non era tra le parti assoggettate a riserva di proprietà da parte del costruttore e come tale non sarebbe stato trasferibile a terzi; che con l’espressione “residua parte del cortile non si era inteso trasferire anche l’area cortilizia; chiesero infine che la PI.BE fosse condannata al ripristino dell’uso originario del cortile mediante la rimozione del cancello.

La A&C venne dichiarata contumace; la snc PIBE, si oppose alla domanda, sostenendo che, in base ai titoli di provenienza, doveva considerarsi legittima proprietaria della porzione di cortile delimitata dalla cancellata in quanto doveva escludersi la presunzione di appartenenza della stessa ai beni condominiali essendo al contrario strutturalmente posta al servizio del terraneo; in via subordinata chiese che si accertasse l’intervenuta usucapione di detta porzione immobiliare ; in via di ulteriore subordine – ed in caso di accoglimento dell’avversaria domanda- domandò che, essendosi concretizzata l’evizione parziale, si dichiarasse la risoluzione ex art. 1479 cod. civ. della compravendita stipulata con la snc A&C, condannandosi quest’ultima alla restituzione del prezzo ed al risarcimento dei danni.

L’adito Tribunale, con sentenza n. 894/2003 accolse la domanda del condominio, rimarcando da un lato la funzione del cortile diretta a consentire l’ingresso di aria e luce al fabbricato; sottolineando dall’altro che la presunzione di cui all’art. 1117 cod. non poteva dirsi vinta da titoli contrari per la ragione che nel regolamento del gennaio 1972 era stata inserita una riserva di proprietà in favore del costruttore ma relativamente ai soli lastrici di copertura; precisò che il rogito dell’ottobre 1972 aveva menzionato il cortile solo a fini confinati, presupponendone dunque la condominialità e ribadì infine che, pur nell’incertezza derivante dalla formulazione del rogito del 1973 — che non menzionava la porzione di cortile tra i beni alienati – la complessiva valutazione delle emergenze istruttore portava ad escludere che il cortile fosse stato oggetto della vendita. Rigettò poi la domanda di usucapione per carenza della prova del possesso utile e negò che la PI.BE potesse dirsi in buona fede al fine di applicare l’usucapione decennale, dal momento che il titolo di provenienza non menzionava la parte di cortile contesa ; respinse infine la domanda di risoluzione per evizione.

La Corte di Appello di Napoli, pronunziando sentenza n. 2258/2005, respinse il gravame della snc PI.BIL Premessa la condivisione delle argomentazioni del Tribunale, negò la rilevanza, ai fini dell’accoglimento della domanda, all’osservazione, secondo la quale la scheda di accatastamento, redatta nel 1971, avrebbe riportato parte del cortile come pertinenza esclusiva del terraneo, non ritenendo decisiva neppure l’indicazione dei confini con riferimento alla “residua parte del cortile” contenuta nel titolo di acquisto, in quanto la giudicò frutto di un errore. Ribadì infine la carenza degli clementi oggettivi e soggettivi per la invocata usucapione -ricordando che fino al 1997 la zona del cortile era stata oggetto di possesso promiscuo da parte dei condomini- al pari di quelli della riproposta evizione.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la snc PI.BE. facendo valere due motivi; il Condominio ed i condomini — ad eccezione di I.A. ed Ad. – hanno resistito con controricorso; la A&C e le I. non hanno svolto difese. La causa, chiamata una prima volta all’udienza del 7 ottobre 2011, è stata rimessa sul ruolo al fine di acquisire la delibera condominiale autonzzativa alla resistenza alla lite, acquisita la quale è stata nuovamente chiamata all’udienza del 17 maggio 2012, data in cui ha sofferto di un nuovo rinvio, mancando la prova della comunicazione ai controricorrenti del decreto di fissazione dell’udienza, per poi venir trattata all’odierna sessione.

Motivi della decisione

I — Con il primo morivo la ricorrente fa valere la violazione e falsa applicazione delle norme in materia: di azione di rivendicazione e di azione confessoria – artt. 948 e 949 cod. civ. -; di determinazione delle parti comuni di edifici in condominio – art. 1117 cod. civ.- ; di interpretazione dei contratti – artt. 1362, 1366, 1367 cod. civ. – ; di ripartizione dell’onere della prova – art. 2697 cod. civ.- ; di consulenza tecnica di ufficio – artt. 61 e 191 cpc – e di valenza probatoria dei frazionamenti catastali – art. 28 L. 11 agosto 1939 n. 1249-. Denuncia altresì la ricorrente la omessa e contraddittoria motivazione su un punto determinante della controversia.

II — Assume innanzi tutto la società PI.BE. che l’azione del Condominio e dei condomini doveva essere qualificata come rivendica parziale del corrile e quindi assoggettata alla ed probatio diabolica del titolo di provenienza, tanto più che, per definizione e come presupposto dell’intrapresa azione, le dette parti non avevano il possesso della porzione in contestazione: ciò avrebbe comportato che avrebbero dovuto essere gli allora attori in revindica a dare la dimostrazione della proprietà sull’intera area cortilizia e non già essa convenuta a dimostrare il proprio buon diritto.

II/a — La deduzione non ha pregio in quanto il Condominio e i condomini agenti hanno chiesto l’accertamento non già dell’appartenenza a sé della parte di area cortilizia adducendo un titolo e quindi introducendo una questione perito ria da risolvere con i richiamati oneri probatori ma, sul presupposto che tutta l’area adibita a cortile fosse stata, sin dal 1971, data della costruzione, adibita all’uso comune, adducendo che si sarebbero verificati i presupposti per la presunzione di condominialità della stessa, secondo quanto indicato dall’art. 1117 cod. civ.: in questa prospettiva dunque cade in errore il ricorrente allorché si ritiene esonerato dall’onere di dimostrare circostanze di fatto contrarie alla indicata presunzione. Correttamente allora la Corte del merito ha dato applicazione al principio secondo cui “In tema di condominio negli edifici, per tutelare la proprietà di un bene appartenente a quelli indicati dall’art. 1117 c.c. non è necessario che il condominio dimostri con il rigore richiesto per la rivendicazione la comproprietà del medesimo, essendo sufficiente, per presumerne la natura condominiale, che esso abbia l’attitudine funzionale al servizio o al godimento collettivo, e cioè sia collegato, strumentalmente, materialmente o funzionalmente con le unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condomini, in rapporto con queste da accessorio a principale, mentre spetta al condomino che ne afferma la proprietà esclusiva darne la prova” (così Cass. Sez. II, n. 11195/2010 cui adde: Cass. Sez. II, 5633/2002; Cass. Sez. II n. 8152/2001; Cass. Sez. II, n. 15372/2000).

III — Assume poi la società ricorrente che nel frazionamento dell’immobile di cui alla scheda presentata al catasto il 15 marzo 1971, – poi pacificamente allegata ai successivi atti di vendita dei singoli locali- era graficamente evidenziata la parte dell’area cortilizia antistante il terraneo -in seguito acquistato da esso ricorrente- come ad esso annessa, così che il successivo regolamento di condominio trascritto nel gennaio del 1972, laddove parlava di cortile non poteva che far riferimento alla residua parte di esso, esuberante cioè da quella di pertinenza del terraneo.

III/a — Anche tale censura non può trovare accoglimento: sul punto non sono stati offerti alla Corte spunti argomentativi che inducano il Collegio a derogare al risalente indirizzo di legittimità (cfr. Cass. Sez. II, n. 1915/1991; Cass. Sez. II, n. 11996/1998; Cass. Sez. II, n. 2670/2001; sino alla più recente Cass. Sez. II n. 11195/2010, sopra citata) secondo cui “In tema di condominio negli edifici, per stabilire se un’unità immobiliare è comune, ai sensi dell’art. 1117, n. 2 cod. civ.,…- omissis…-, il giudice del merito deve accertare se, all’atto della costituzione del condominio, come conseguenza dell’alienazione dei singoli appartamenti da parte dell’originario proprietario dell’intero fabbricato, vi è stata tale destinazione, espressamente o di fatto, dovendosi altrimenti escludere la proprietà comune dei condomini su di essa. Né per vincere, in base al titolo, la presunzione legale di proprietà comune delle parti dell’edificio condominiale indicate nell’art. 1117, n.2, cod. civ., sono sufficienti il frazionamento – accatastamento e la relativa trascrizione, eseguiti a domanda del venditore costruttore, trattandosi di atto unilaterale di per sé inidoneo a sottrarre il bene alla comunione condominiale, e dovendosi invece riconoscere tale effetto solo al contratto di compravendita, in cui la previa delimitazione unilaterale dell’oggetto del trasferimento sia stata recepita nel contenuto negoziale per concorde volontà dei contraenti.” (così Cass. 11195/2010 cit.).

III/b — Non delibabili in sede di legittimità sono poi le doglianze relative al mancato riscontro in concreto degli elementi di fatto che avrebbero dovuto condurre — secondo la ricostruzione operata dal ricorrente — a disconoscere il carattere condominiale della parte di area cortilizia in esame, dal momento che detto accertamento è commesso al giudice del merito ed è intangibile in sede di legittimità se, come nel caso di specie, congruamente motivato (cfr. Cass. Sez. 11, 11195/2010 cit., cui acide Cass. Sez. 11, n. 2943/2004).

IV — Insussistente è poi il vizio ermeneutico delle clausole del rogito del maggio 1973 che parte ricorrente denunzia con riferimento ai canoni di cui agli artt. 1362, 1366 e 1367 cod. civ. nella misura in cui si invochi la comune volontà ed il canone di buona fede con riferimento a soggetti che non furono parti del negozio traslativo; del pari incongruo — e per le medesime ragioni – invocare il principio di conservazione del negozio.

V — Del tutto inammissibile è il, sostanzialmente denunziato, vizio di omessa pronunzia su una censura che si assume portata all’attenzione del giudice dell’appello, interessante la portata del regolamento condominiale del 1992 — in cui nella determinazione delle tabelle millesimali si sarebbe tenuto conto anche della parte di cortile controversa- dal momento che la Corte distrettuale espressamente — cfr. fol sesto della sentenza- valutò la circostanza come sub valente rispetto ai sette elementi indicati dal Tribunale al fine dell’interpretazione del titolo di provenienza del dante causa originario – il costruttore R. -, puntualizzando altresì l’arbitrarietà logica di trarre elementi di convincimento in merito all’oggetto di un rogito del 1972 da un regolamento condominiale deliberato vent’anni dopo.

VI — Inammissibile è altresì la dedotta erronea applicazione delle norme sulla consulenza tecnica, atteso che esse vengono invocate non per far emergere un cattivo uso da parte del giudice dell’appello di tale mezzo di convincimento bensì per dolersi del mancato esercizio del potere discrezionale di ammettere o meno una consulenza tecnica da parte della Corte partenopea, non senza omettere di considerare che gli elementi di convincimento che parte ricorrente vorrebbe trarre dalla diversa struttura della pavimentazione di parte del cortile debbono cedere rispetto alle considerazioni in precedenza operate dallo stesso giudice dell’appello in merito al contenuto dei titoli di provenienza ed alla strutturale destinazione del cortile.

VII — La denunzia attinente alla motivazione appare inammissibile in quanto non sviluppata in ricorso mediante la identificazione del punto centrale e controverso rispetto al quale l’argomentazione del giudice dell’appello sarebbe mancata o sarebbe stata incongrua rispetto alle proprie premesse logiche o, anche non sarebbe stata sufficiente a garantire una ricostruzione dell’iter cognitivo e decisionale seguito.

VIII — Con il secondo motivo viene denunziata la violazione o falsa applicazione degli artt. 1143, 1147, 1158 e 1159 cod. civ., nonché omessa e contraddittoria motivazione, laddove la Corte distrettuale avrebbe escluso la ricorrenza del corpus possessionis e, per l’usucapione decennale, anche del requisito della buona fede.

VIII/a — Censura innanzi tutto il ricorrente la pretermissione del valore da attribuire alle tabelle millesimali approvate nel 1992 — e nel conseguente pagamento, da parte della propria dante causa, la snc A&C, delle spese relative anche all’area in contestazione, da valutarsi come circostanze di carattere confessorio; denunzia poi la ricorrente che l’apposizione di una chiusura solo nel 1997 non avrebbe di per sé significato che gli altri condomini ne avessero avuto, in precedenza, il possesso; assume altresì che, dovendosi presumere la buona fede, erroneamente la Corte territoriale avrebbe escluso la buona fede valevole per l’usucapione abbreviata.

VIII/b Le surriferite censure sono da un lato inammissibili – laddove tendono a sindacare il risultato interpretativo delle emergenze di fatto operato dal giudice dell’appello e non già il rispetto, da parte della Corte distrettuale, della portata obiettiva delle norme invocate come neppure il processo logico seguito dallo stesso giudicante -; peccano poi di evidente infondatezza laddove, in ordine alla usucapione ordinaria, si limitano a contrapporre la propria valutazione di alcune circostanze a quella argomentatamente compiuta dal giudice dell’appello; in relazione a quella abbreviata, attribuiscono valore dirimente alla presunzione di buona fede mentre il ragionamento del giudice era diretto appunto a vincere detta presunzione.

IX — Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come indicato in dispositivo.

Fonte: Condominioweb.com

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