Il condomino che anticipa spese per lavori della facciata e illuminazione non ha diritto al rimborso
Il condomino che per lavori di finitura della facciata paga di tasca sua non ha diritto al rimborso se non dimostra la deliberazione dell’assemblea o lo stato di necessità dell’intervento. E questo vale anche per le spese relative all’illuminazione e all’accatastamento.
Nella sentenza si legge:
La Corte d’appello ha ritenuto, in fatto, che nessuna prova era stata fornita da V*** circa un incarico che gli altri comproprietari gli avessero affidato, per provvedere alle opere e alle pratiche amministrative alle quali egli ha dato corso; dal che ha desunto, in diritto, che nessun indennizzo poteva competergli, in mancanza sia di una previa deliberazione dell’assemblea dei comunisti, sia dei requisiti della necessità e della trascuranza, richiesti dall’art. 1110 c.c. A questa corretta argomentazione – pienamente coerente con la costante giurisprudenza di legittimità in materia: v., tra le più recenti, Cass. 19 dicembre 2011 n. 27519 – il ricorrente null’altro ha opposto, se non la tanto perentoria quanto assiomatica affermazione di aver agito in base a “una precedente intesa tra le parti”: intesa che egli presuppone essere intervenuta, senza dare alcuna indicazione in ordine a prove che lo dimostrino e che nella sentenza impugnata siano state in ipotesi trascurate o travisate.
Con il secondo motivo di ricorso V*** lamenta che la Corte d’appello ha escluso le spese per l’illuminazione e per l’accatastamento dal novero di quelle necessarie per la conservazione della cosa comune, le quali comportano, ai sensi dell’art. 1110 c.c., il diritto ad esserne rimborsato per chi le ha sostenute, anche se di propria iniziativa.
Anche questa doglianza va disattesa.
A conforto del suo assunto il ricorrente ha richiamato Cass. 27 agosto 2002 n. 12568, con la quale in effetti le spese destinate alla continuità dell’erogazione di servizi come l’illuminazione sono state considerate comprese tra quelle cui si riferisce la disposizione suddetta. Si tratta però di un precedente rimasto isolato, dal quale si è discostata la successiva giurisprudenza di legittimità (v. Cass. 1 agosto 2003 n. 11747, 9 settembre 2003 n. 13139, n. 13141, n. 13144), in base al rilievo che l’illuminazione serve per il godimento e non per la conservazione del bene. A questo indirizzo il collegio ritiene di doversi attenere, stante la sua coerenza con la lettera e la ratio della norma in considerazione, la quale eccezionalmente consente la ripetibilità delle spese sostenute dal singolo partecipante alla comunione, in caso di trascuranza degli altri, limitatamente a quelle necessarie alla conservazione della cosa, ossia al mantenimento della sua integrità, in modo che duri a lungo senza deteriorarsi. Ne restano quindi esclusi gli oneri occorrenti soltanto per la sua migliore fruizione, come 1 ‘illuminazione di un immobile, o per l’adempimento di obblighi fiscali, come l’accatastamento.
Fonte: Condominioweb.com
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