Il canone di locazione per gli immobili commerciali può essere aggiornato oltre i limiti imposti dall’indice Istat ma…

Recita l’art. 32 della legge n. 392/78, dedicato all’aggiornamento del canone nelle locazioni per uso diverso da quello abitativo:

Le parti possono convenire che il canone di locazione sia aggiornato annualmente su richiesta del locatore per eventuali variazioni del potere di acquisto della lira (oggi euro n.d.A.). Le variazioni in aumento del canone, per i contratti stipulati per durata non superiore a quella di cui all’articolo 27, non possono essere superiori al 75 per cento di quelle, accertate dall’ISTAT, dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche ai contratti di locazione stagionale ed a quelli in corso al momento dell’entrata in vigore del limite di aggiornamento di cui al secondo comma del presente articolo.

La variazione del canone non è solamente quella dovuta per l’adeguamento al potere di acquisto della moneta. Le parti, infatti, possono concordare aumenti differenti, ossia diversi canoni al passare di ogni anno (o gruppo di anni) purché ciò sia fatto con un ben preciso motivo che, però, deve essere diverso dal semplice intento di eludere quanto stabilito dall’art. 32 succitato. Come dire: l’aumento del canone è legittimo ma se è fatto solamente con lo scopo di aggirare il disposto di cui all’art. 32 è nullo ai sensi dell’art. 79 della stessa legge. La ragione dell’aumento, quindi, deve emergere chiaramente dal contratto di locazione. In un caso di recente risolto dalla Corte di Cassazione tale motivazione non appariva chiara ai giudici di merito. In questo contesto gli ermellini hanno affermato che: “ per effetto del principio generale della libera determinazione convenzionale del canone locativo per gli immobili destinati ad uso non abitativo, deve dirsi legittima la clausola con cui si convenga una determinazione del canone in misura differenziata, crescente per frazioni successive del tempo nell’arco del rapporto, purché sia ancorata ad elementi predeterminati (idonei ad influire sull’equilibrio economico del sinallagma contrattuale e del tutto indipendenti dalle eventuali variazioni annuali del potere di acquisto della moneta), risultando altrimenti una sottostante volontà delle parti volta, in realtà, a perseguire surrettiziamente lo scopo di neutralizzare esclusivamente gli effetti della svalutazione monetaria, eludendo, così, i limiti quantitativi posti dall’art. 32 della legge cosiddetta “sull’equo canone” (sia nella formulazione originaria che in quella novellata dall’art. 1 comma nono sexies, della legge n. 118 del 1985), ed incorrendo, conseguentemente, nella sanzione di nullità prevista dal successivo art. 79 della legge predetta (Cass., sez. VI, ord. 23 giugno 2011, n. 13887; Cass., sez. VI, ord. 17 maggio 2011, n. 10834; in entrambi i casi trattandosi di principio affermato proprio ai sensi delFart. 360-tò n, 1 cod. proc. civ.);

nel caso di specie, un canone pattuito per periodi successivi in misura crescente e disancorata da elementi predeterminati in grado di influire nel tempo sul sinallagma contrattuale non è affatto una lecita determinazione di un plurimo o articolato canone, ma, per l’unitarietà del rapporto contrattuale, integra – come con motivazione congrua e logica rileva la corte territoriale – una non consentita elusione della norma sull’immutabilità – salvi i soli aggiornamenti ISTAT — del canone per tutta la durata del rapporto: correttamente da sanzionare con la nullità prevista dall’art. 79 legge 392 del 1978;

e, a prescindere dalla questione dell’identificazione della parte onerata della conformità della clausola (correttamente risolta dalla corte territoriale), è lo stesso suo tenore testuale, che identifica con immediatezza un andamento crescente a scaglioni differenziati, a configurare ictu oculi la fattispecie sopra riportata come non consentito aumento nel corso del rapporto in elusione alla normativa dell’ari 32 della legge richiamata, senza che null’altro risulti dal contesto del contratto: con conseguente piena idoneità della motivazione sul punto del giudice del merito” (Cass. 1 ottobre 2012, n. 16717).

Fonte: Condominioweb.com

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