Cambio di destinazione d’uso delle parti comuni: quali norme applicare

destinazione-d'usoRicordare il concetto d’innovazioni? No? Allora rinfreschiamolo.

“Per innovazioni delle cose comuni s’intendono, dunque, non tutte le modificazioni (qualunque opus novum), sebbene le modifiche, le quali importino l’alterazione della entità sostanziale o il mutamento della originaria destinazione, in modo che le parti comuni, in seguito alle attività o alle opere innovative eseguite, presentino una diversa consistenza materiale, ovvero vengano ad essere utilizzate per fini diversi da quelli precedenti (tra le tante: Cass.,23 ottobre 1999, n. 11936; Casa., 29 ottobre 1998, n. 1389; Cass., 5 novembre 1990, n. 10602)” (così Cass. 26 maggio 2006 n. 12654).

Mutamento dell’originaria destinazione. L’evidenziazione non è casuale.

Prendiamo un altro elemento.

Art. 1117-ter c.c., ovvero disciplina del cambio delle destinazioni d’uso delle cose comuni. Il primo comma recita:

Per soddisfare esigenze di interesse condominiale, l’assemblea, con un numero di voti che rappresenti i quattro quinti dei partecipanti al condominio e i quattro quinti del valore dell’edificio, può modificare la destinazione d’uso delle parti comuni.
I commi successivi, ovvero quelli dal secondo al quinto, chiariscono le modalità operative di tale deliberazione. Eccoli qui:

La convocazione dell’assemblea deve essere affissa per non meno di trenta giorni consecutivi nei locali di maggior uso comune o negli spazi a tal fine destinati e deve effettuarsi mediante lettera raccomandata o equipollenti mezzi telematici, in modo da pervenire almeno venti giorni prima della data di convocazione.

La convocazione dell’assemblea, a pena di nullità, deve indicare le parti comuni oggetto della modificazione e la nuova destinazione d’uso.

La deliberazione deve contenere la dichiarazione espressa che sono stati effettuati gli adempimenti di cui ai precedenti commi.

Sono vietate le modificazioni delle destinazioni d’uso che possono recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato o che ne alterano il decoro architettonico.

Una domanda, come si suole dire, sorge spontanea: se le innovazioni si sostanziano anche in mutamenti delle destinazioni d’uso, con l’entrata in vigore della riforma (vale a dire dal 18 giugno 2013) deve ritenersi che questo genere di innovazioni debba essere regolato dal succitato art. 1117-ter c.c.?

Ad avviso di chi scrive no. Spiego perché. Tutto ruota attorno alla diversa funzione delle norme.

Le innovazioni, a dirlo è al’art. 1120 c.c., mirano al miglioramento o all’uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni. Ciò, però, non deve mai rendere che le parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino. Così fosse le innovazioni dovrebbero essere considerate vietate.

Per il cambio di destinazione d’uso la situazione è differente. Innanzitutto lo scopo è quello di soddisfare esigenze di interesse condominiale (es. mutare il vecchio locale lavanderia in sala riunioni). Si tratta, già così a prima vista, di qualcosa di diverso dall’interesse dei condomini a godere al meglio delle cose comuni.

In secondo luogo non è previsto alcun divieto nel caso in cui dal cambio di destinazione d’uso derivi l’inservibilità per il singolo.

Ed allora? Ad avviso di chi scrive le innovazioni che comportano mutamento di destinazione d’uso di una parte comune ma che non mirano a soddisfare esigenze di interesse condominiale continueranno ad essere regolate dall’art. 1120 c.c.

Fonte: Condominioweb.com

Contattateci per maggiori informazioni al n. 06/78394982

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